salvatoremarescaserrablog

2012 in review

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2012 per questo blog.

Ecco un estratto:

4,329 films were submitted to the 2012 Cannes Film Festival. This blog had 22.000 views in 2012. If each view were a film, this blog would power 5 Film Festivals

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

BUONI PROPOSITI – Isabella Goldmann

L’architetto Isabella Goldmann

LA GIOIA DELLA FINITEZZA – Editoriale

Inutile nasconderlo: il vero nuovo anno inizia dopo la lunga pausa estiva dal lavoro. E come tutti gli inizi, è accompagnato da nuovi ferrei propositi.

Che fine sono destinati a fare? Possiamo fornire molte risposte, a seconda del tempo che concediamo a ogni proposito per finire nel cestino.Secondo una ben nota ricerca della Università di Hertfordshire, tornati dalle vacanze ci presentiamo generalmente alla nuova vita con cinque gettonatissime convinzioni lapidarie: che riusciremo a perdere peso, a fare più esercizio fisico, a smettere di fumare, a fare tutto il lavoro previsto nei tempi giusti senza ridursi all’ultimo momento, e a lavorare sostanzialmente meno. Tutto questo perché fortissimamente lo vogliamo, e abbiamo deciso stavolta di impegnarci davvero.Non ci riesce quasi nessuno anche se, immancabilmente, ogni anno ci riprova. Il motivo per cui solo in terzo degli stakanovisti riesce (parzialmente) nell’intento è perché ha messo in pratica una furbizia che, a pensarci bene, è il segreto di ogni successo: la politica dei piccoli, anzi, piccolissimi passi.

Devo perdere 5 chili? Entro questa settimana voglio perdere un etto. Se ci riesco, faccio una festa (magari non a base di lasagne…). E via di questo passo.
Devo leggere 840 fascicoli entro lunedi? (oddio, se mi trovo in questo stato, forse i problemi sono più di uno, e di varia natura…): ne leggo tre al giorno, e gli altri…pazienza. Il segreto sta nel scegliere i tre giusti ogni giorno, ossia quelli che tra tutti, portano il beneficio maggiore.

Come diceva Oscar Wilde, «i buoni propositi sono inutili tentativi di interferire nelle leggi scientifiche». Ma lo diceva solo perché quando facciamo un buon proposito, questo di solito è gigantesco e quasi inarrivabile.

Se ci persuadessimo finalmente di non essere un dio (per molti questo potrebbe rappresentare un problema), scopriremo la gioia della finitezza, ossia la sorpresa di avere un limite. Nulla di più rassicurante.

Dietro il concetto di limite si declina l’essenza tutta della Natura nella sua espressione più nobile. Tutta l’evoluzione, a qualunque cosa si riferisca, si basa sull’allontanamento o estensione del limite, ma non nella sua negazione. In parole povere, dato un obiettivo importante, questo va frammentato in obiettivi consecutivi di breve periodo, molto piccoli e ravvicinati. Da accompagnare sempre con un piccolo premio. Piccolo, e possibilmente virtuale: un sorriso, un buon film, una bella telefonata, un bagno caldo.

Non basta? Allora è questo il territorio su cui dobbiamo lavorare di più: scoprire che un premio, per essere considerato tale, non è necessario che sappia di cioccolato, che abbia il tacco 12 o che contenga le ultime app.

Isabella Goldmann

LE OPINIONI IMPEDISCONO AI FATTI DI ESISTERE? Enrico Maria Troisi


Angelo di Carlo, 54 anni, si è dato fuoco davanti a Montecitorio il 12 agosto, nella calcolata (?) indifferenza dei media, ed è morto ieri. Lascia 160 euro in eredità al figlio superstite. La notizia è stata filtrata, trattenuta, o altro, per cui Angelo di Carlo non s’è mai ucciso fin quando non è morto! Un dramma privato (il Di Carlo risulta vedovo, disoccupato) sfociato in un martirio pubblico non merita alcuna riflessione, nè un approfondimento, nè niente, fin quando non sia accertata l’adesione dell’uomo ad una qualsiasi delle sigle sindacali o ai gruppi di attivisti che popolano il panorama della rappresentanza politica italiana (non certo i Partiti). Anzi “guarda e passa”, come nella ritirata dell’Armir: quando devi salvare la pelle metti a riposo la coscienza. Angelo di Carlo non ha neanchè la dignità di diventare una statistica. Deve essergli andato tutto Murphynianamente storto nella vita, come, ahimè, nella morte. Si dirà che “era instabile”, “impulsivo”, “fanatico”, “oltranzista”, “coerente” e pure “depresso”. O tutto,al contrario, che il suo gesto è Anomico, per dirla alla Durkheim, o frutto di un calcolo sbagliato: non c’erano sufficienti media è la benzina aveva troppi ottani! Si sprecheranno esegesi psico-sociologiche, da sbattersi in faccia fra i professionisti della politica per attribuirsi, secondo le convenienze, colpe, responsabilità e meriti dell’attuale situazione. Ma un fiore ed un fondo di solidarietà potrebbero significare molto, ma molto di più di una prima pagina di sdegno…..

Enrico Maria Troisi

http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/08/19/news/si_diede_fuoco_davanti_a_montecitorio_e_morto_il_disoccupato_ustionato-41170172/

Risposta a Salvatore Spoto:

Caro Salvatore Spoto, la scelta concernente l’immagine che accompagna il breve articolo di Enrico Maria Troisi riguarda solo la redazione di questo blog, quindi me personalmente e inequivocabilmente (…). Tengo a sottolineare che tale immagine è apparsa – molto prima di questo articolo del Prof. Troisi (psichiatra e criminologo, che ci onora della sua presenza nella redazione) – su tutti i media internazionali, e ha fatto il giro della rete, evidentemente non essendo sottoposta ad alcuna censura o a qualsivoglia critica del genere che lei menziona – “paura ed emotività”. Ritengo che siano ben altre le immagini che vadano sottoposte a tale critica, e non questa che – a prescindere dall’uso che l’informazione ne ha fatto, istituzionalizzandola quale “documento” al pari delle stesse che, in altra epoca, e che lei ricorderà perfettamente anche meglio di me, data la sua professionalità che ben conosco, documentarono per esempio la tragica storia di Jan Palach. Quando dico “ben altre”, mi riferisco esattamente a ultimissime immagini che Il Messaggero, per il quale mi risulta lei ha collaborato per anni e anni, ha pubblicato, e che risultano essere solo il frutto di una tecnica di comunicazione da tempo in uso che degrada la professionalità che – giustamente – si vorrebbe salvaguardare, delle testate e dei giornalisti. Purtroppo non sempre le cose vanno così, e – per quanto mi riguarda – preferisco il valore documentale, anche se drammatico quanto la realtà lo è, e che quindi afferisce eticamente alla stessa, e non alla spettacolarizzazione gratuita e volgare, intellettualmente parlando, dei fatti. Per chi non se ne rende conto abbastanza, da smuovere nel suo proprio piccolo le coscienze, i fatti recentissimi che hanno provocato una serie di suicidi in Italia vanno riportati così come sono, a mio parere, e chi vuole vederci una spettacolarizzazione morbosa farebbe bene a valutare quelle “ben altre” di cui parlo, e che pubblico qui di seguito, allo scopo di documentare quanto affermo, al solo titolo di esempio. Se i “colleghi” di cui lei parla nei due commenti sono interessati sia agli aspetti deontologici che a quelli minimal retorici, e per caso fanno parte anch’essi de Il Messaggero, allora farebbero buon uso del loro tempo a interrogarsi su cosa spinge Il Messaggero a pubblicare queste foto, in un clima tanto drammatico e spietato che stiamo vivendo, dove anche la sola tentazione a pensare di vendere qualche copia in più, usando questi mezzi, diventa esecrabile, e – conoscendola personalmente e stimandola al punto di averla invitata a far parte d questa redazione, come da lei espresso in un commento al post STOP IT, quindi rispondendo a un suo desiderio liberamente espresso in pubblico – sarei molto curioso di conoscere il suo illuminato e puntuale pensiero nel merito. La redazione ha già provveduto a rimuovere il banner con la sua foro, egregio Salvatore Spoto. Evidentemente, la diversità di vedute, tra me e lei, è tale che questa azione risulta gradita ad entrambi, e nonsolo a lei. Per il resto, la lascio alla risposta del Prof. Troisi, che non voglio – in questo momento – surrogare né sostituire. Per ciò che lei intravede come un vero e proprio attacco alla categoria di cui fa parte. Mi esprimerò senz’altro dopo Enrico Maria Troisi, avendo io personalmente deciso di pubblicare il suo articolo. E non ritenendolo affatto un attacco alla categoria dei giornalisti, ma una puntuale precisazione di quanto viene sistemicamente occultato da molta (non tutta, ovviamente) “stampa”, come una volta si usava dire, ma che oggi verrebbe definita meglio, là e dove ce ne sia il bisogno, “protesi dei partiti politici”… intelligenti pauca. Intanto la saluto e la ringrazio dei suoi commenti.

Salvatore Maresca Serra

Milano dice sì alle Unioni civili. Pisapia: da oggi ci sono più diritti

Milano, 27 lug. (Adnkronos) – L’Associazione Radicale Certi Diritti “saluta con favore l’approvazione del registro sulle unioni civili” da parte del Consiglio comunale di Milano, avvenuta nella notte, una misura che “rende la città più accogliente, laica ed europea”. Lo comunica l’associazione. “Un estenuante dibattito consiliare – prosegue – ha trasformato una delibera asciutta sul modello torinese in una più articolata, che prevede un autonomo registro delle unioni civili riferito però all’articolo 4 del Dpr 223 del 1989 che parla di famiglia anagrafica”. “A parte la scelta eccessivamente burocratica – continua l’associazione – rimane integro il cuore del provvedimento che impegna il Comune a garantire ‘condizioni non discriminatorie” di accesso ai suoi servizi e nelle materie di propria competenza. L’Associazione Radicale Certi Diritti, insieme ad altre realtà milanesi, aveva quasi completato una raccolta firme su una delibera basata sul modello torinese, che ha certamente contribuito ad accelerare i tempi dell’approvazione del registro”.

“Salutiamo con favore – continua l’associazione – la scelta di lasciare al Consiglio comunale la titolarità della materia poiché questo ha permesso di sviluppare un vasto dibattito nelle istituzioni e in città. Da Milano rilanciamo ora la battaglia per il matrimonio egualitario che consenta a tutti i cittadini, a prescindere dal loro orientamento sessuale, il pieno accesso all’istituto del matrimonio civile e che permetta cosi’ di sanare la più odiosa delle discriminazioni contenute nel nostro ordinamento giuridico”.

Il primo commento del sindaco di Milano Giuliano Pisapia subito dopo l’approvazione del Consiglio comunale che ha visto una lunga trattativa è stato: “Da oggi a Milano ci sono più diritti”.

Bonus al dirigente in galera da mesi

IL CASO ALLA REGIONE MOLISE

Gratifica da 13.099 euro. Peccato che il dirigente Elvio Carugno sia in galera proprio con l’accusa di avere rubato soldi regionali

 di Gian Antonio Stella

«Bravo», gli ha detto la Regione Molise. E gli ha dato un bonus di 13.099 euro in aggiunta allo stipendio. Peccato che Elvio Carugno sia in galera. Carugno è accusato di avere rubato soldi regionali. Il che conferma come la distribuzione dei «premi» messi a bilancio sotto la voce «merito» avvenga con criteri a pioggia che col merito non hanno niente da spartire.

Il tema è una ferita che sanguinada tempo. Basti ricordare la denuncia che fece qualche anno fa, alla vigilia dell’ultimo governo Berlusconi, l’allora ministro per la Funzione pubblica, Luigi Nicolais. Il quale ammise che «il tentativo di misurare l’efficienza di chi dirige gli uffici pubblici», avviato dal governo D’Alema nel lontano 1999 con la legge 286 che prevedeva una ricompensa aggiuntiva per i dirigenti sulla base del raggiungimento o meno degli obiettivi fissati, non aveva dato «i risultati sperati». Un eufemismo.

Ex ministro Nicolais

La prova era nei numeri: su 3.769 altissimi funzionari addetti alla macchina statale, quelli premiati col massimo bonus possibile erano 3.769. Come se fossero tutti purosangue. Tutti bravissimi, puntualissimi, rigorosissimi. Senza un solo somaro, un ronzino, un brocco che meritasse un minimo di castigo… Come se tutti gli obiettivi prefissi fossero stati raggiunti.
Mai più, giurarono allora i responsabili della cosa pubblica. Mai più. Fatto sta che, anche al di là dell’impegno personale di questo o quel ministro (ricordate la battaglia scatenata su questi temi dal contestatissimo Renato Brunetta?), ciò che è accaduto in questi giorni in Molise dimostra quanta strada ci sia ancora da fare.

Dice tutto la lettera protocollata il 6 luglio scorso e firmata dalla Direzione generale della Regione Molise e inviata al Servizio di gestione risorse umane. Oggetto: «Erogazione indennità di risultato dirigenza anno 2011». Messaggio: «In riferimento all’erogazione di cui all’oggetto, si partecipa che, avendo acquisito per le vie brevi le dovute informazioni da parte del nucleo di valutazione in merito ai termini di conclusione dei procedimenti di valutazione dei direttori di area e di servizio, rilevato che a tutt’oggi i medesimi procedimenti non sono ancora conclusi, si rimette alle opportune valutazioni della signoria vostra la plausibilità di procedere all’anticipazione dell’erogazione dell’indennità di risultato… ».

Totale dell’importo dei premi, in questi tempi di crisi, di assunzioni bloccate, di appelli quotidiani al pubblico impiego: 805.046 euro e 57 centesimi. Da dividere, come anticipazione del 60% degli incentivi per i risultati raggiunti nell’anno passato, tra 68 dirigenti. Per capirci: tutti quelli della Regione. Come se anche in questo caso, nella scia dello scandalo denunciato da Luigi Nicolais, non ci fosse nessuno ma proprio nessuno da lasciare a secco.

Si dirà: sono integrazioni in qualche modo dovute. Ma è vero solo in parte. La Regione, accusano le opposizioni, poteva fissare un minimo molto basso e un massimo molto alto, scelta evitata stabilendo bonus che vanno in genere da 11 a 13 mila euro. Poteva dare degli obiettivi precisi e non così generici (tipo «organizzazione degli uffici») da lasciare spazio a ogni interpretazione. Di più: il nucleo di valutazione, composto da tre persone, è dominato da due membri di squisita nomina partitica: il sindaco di Santa Maria del Molise e il vicesindaco di Petacciato. Tutti e due appartenenti al Pdl del governatore Michele Iorio.

La decisione di spendere così quegli 805 mila euro ha mandato su tutte le furie il capogruppo in consiglio regionale del Molise dell’Italia dei valori, Cosmo Tedeschi: «In un periodo difficile come quello che stiamo attraversando questa somma poteva, anzi doveva essere spesa per interventi più urgenti e, soprattutto, utili alla comunità». Lo sconcerto, tuttavia, non riguarda solo i dipietristi e la sinistra.

Tra i dirigenti, infatti, vengono premiati anche i dirigenti della Sanità che, come spiegano i dati di pochi giorni fa, è tra le più sgangherate e indebitate, sul pro capite, della Penisola. Un dato per tutti: 2.939 euro di spesa per abitante, inferiore solo a quelle della Basilicata e del Lazio.

Di più: riferisce un’agenzia Agi di qualche settimana fa che «il Molise ha anche il primato per spesa pubblica primaria delle Pubbliche Amministrazioni, che Bankitalia ha rilevato in 4.100 pro capite nel triennio 2008-2010 contro i 3.300 euro della media nazionale».

Ma non basta. Tra i dirigenti benedetti dalle gratifiche, con 11.718 euro di bonus supplementare (ripetiamo: è solo il 60%, poi deve arrivare il resto) c’è anche chi come Antonio Guerrizio è stato messo sotto inchiesta per una brutta storia di soldi spariti dalle casse, già parzialmente restituiti. E soprattutto Elvio Carugno, in galera da mesi con le accuse di peculato aggravato e continuato. Pochi giorni fa l’ennesima richiesta di andare almeno agli arresti domiciliari gli è stata respinta: secondo i giudici potrebbe scappare, magari in Venezuela dove sarebbe finito in parte, probabilmente a una donna più o meno misteriosa, il milione di euro circa, stando alle indagini, scomparso dalle pubbliche casse.

Domanda: l’arresto è del 4 aprile, come mai tre mesi non sono bastati alla Direzione generale per depennare l’attuale carcerato dalla lista dei dirigenti meritevoli della massima gratifica? Non sarà il caso di rivederle tutte, queste regole?

Marco Travaglio sulla trattativa Stato-Mafia e le intercettazioni di Napolitano (19Lug2012)

Marco Travaglio sulla trattativa Stato-Mafia e le intercettazioni di Napolitano (19 Luglio 2012)

 

Web: esperto, Facebook e Twitter dannosi per il digiuno di Ramadan

Kuwait, 24 lug. – Adnkronos/Aki – Navigare nei social network danneggia il digiuno durante il mese sacro del Ramadan. Ne e convinto il presidente della Lega degli studiosi di sharia del Consiglio di cooperazione del Golfo, Ujayl al-Neshmi, secondo cui chattare con persone dellaltro sesso su Twitter, Facebook e gli altri luoghi dincontro virtuali “non puo portare a qualcosa di buono”. “Ce un modo di scrivere che non ha un obiettivo in se, ma il cui unico scopo e quello di contattare chi conosciamo o chi non conosciamo per niente, e questo genere di scrittura non porta a nulla di buono”, ha spiegato Neshmi, secondo quanto riferisce il sito Islah News. “Se questo scambio avviene poi tra maschi e femmine, allora e proprio vietato, poiche e una via verso limmoralita”, ha aggiunto, precisando che “questo tipo di contatti rovina il digiuno”. Tuttavia i social network possono essere impiegati in modi diversi. Ad esempio, ha sottolineato lesperto, “ci si puo rivolgere a Twitter e Facebook per chiedere spiegazioni su una questione religiosa, scientifica, sociale o educativa, e questo e auspicabile, se il contatto avviene con un esperto di questioni religiose e islamiche”. In tal caso, nulla vieta i contatti anche tra persone di sesso opposto.

Sicilia, l’Ue «congela» 600 milioni

Sicilia, crollano Pil e lavoro, l’Ue «congela» 600 milioni

Stime di previsione contenute nell’ultimo report di Diste Consulting e Fondazione Curella sul 2012

PALERMO – Si va verso il crac finanziario o no? Una risposta (in negativo) per la Sicilia arriva dall’ultimo report Diste. Il dato, allarmante, è che nella regione crollano Pil e occupati mentre l’Unione Europea congela 600.000 milioni di fondi comunitari legati al ciclo di programmazione 2007-2013. Sulla base delle stime di previsione contenute nell’ultimo Report Sicilia elaborato da Diste Consulting e Fondazione Curella relative al primo semestre 2012, si delinea nell’Isola una fase recessiva piu’ grave rispetto al resto del Paese, con effetti pesanti sul mercato del lavoro. Nel corso del 2012 l’economia siciliana potrebbe registrare infatti, una flessione del prodotto interno lordo attorno al 2,4 per cento, un risultato peggiore rispetto a quanto prefigurato per l’economia italiana (-1,9 per cento).

PARTE DEBOLE DEL SISTEMA – «Una situazione complessa – afferma Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella – nella quale si intrecciano fattori economici strutturali e politici. Certamente non sarà facile uscire da questa crisi che e’ strutturale e che durerà per molti anni. La Sicilia deve trovare delle nicchie per riuscire a mantenere i livelli di reddito conseguiti fino ad adesso. Stiamo assistendo alla crisi del sistema occidentale. E noi siamo la parte debole di tale sistema». «Secondo le nostre stime – evidenzia Alessandro La Monica presidente Diste Consulting – la caduta del prodotto interno lordo provocherà nell’anno la perdita di circa 35 mila occupati. Per cui in Sicilia siamo passati dal dato record di 1 milione 502 mila e 700 unità lavorative del 2006 fino 1 milione 397 mila e 950 unità delle stime 2012, determinando una perdita nel sessennio di quasi 105 mila posti di lavoro, come cancellare dal mercato del lavoro – sottolinea Alessandro La Monica – una città delle dimensioni di Siracusa».

DISOCCUPAZIONE ALTISSIMA – Dalle analisi contenute in questo trentasettesimo Report Sicilia emerge che nel corso dell’anno il numero dei disoccupati è destinato a salire in misura abnorme. Si stima una crescita a oltre 306 mila unità (da 240 mila e 700 del 2011), equivalente ad un tasso di disoccupazione che potrebbe raggiungere il 18,0 per cento (10,5 per cento il dato dell’Italia), il livello massimo dal 2004. Al forte aumento della disoccupazione contribuiranno, oltre a coloro che hanno perso un precedente impiego e a chi e’ alla ricerca di una prima occupazione, anche i massicci rientri nel mercato del lavoro di persone che in precedenza avevano cessato la ricerca perché scoraggiate dalle difficoltà incontrate. Secondo le statistiche, il soggetto che nel corso dell’intervista dichiara di non essere alla ricerca di un lavoro non e’ considerato, ovviamente, disoccupato. Si tratterebbe per lo più di studenti e casalinghe spinti dalla necessità di reintegrare redditi famigliari erosi per vari motivi dalla crisi. Le drastiche misure di aggiustamento della finanza pubblica, gli annunci di nuovi tagli di posti di lavoro correlati a ristrutturazioni aziendali sono destinati a frenare ulteriormente la già debole spesa di consumo. Si stima perciò una contrazione – la quinta consecutiva – del 2,8 per cento, che riporta il livello dei consumi delle famiglie siciliane indietro di quindici anni.

LENTEZZA DELLA SPESA – Le inquietudini sulle prospettive di domanda penalizzano massicciamente anche gli investimenti, attesi scendere del 5,8 per cento a causa di consistenti ripiegamenti sia della spesa in macchinari e attrezzature sia di quella in costruzioni. In questo contesto si inserisce la vicenda della spesa relativa ai fondi comunitari legai al ciclo di programmazione 2007-2013, divenuta un caso nazionale ed europeo di inefficace programmazione e gestione poco trasparente dei fondi strutturali: si veda l’intervista rilasciata dal ministro della coesione territoriale, Fabrizio Barca, lo scorso 14 luglio, così come le numerose inchieste giornalistiche svolte da diversi quotidiani nazionali all’indomani della decisione di congelamento di 600.000 milioni di pagamenti già anticipati dalla Regione da parte del commissario Ue per gli Affari regionali Johannes Hahn. Al tradizionale dato sulla lentezza della spesa (ad esempio il comitato di sorveglianza del Fesr accertava alla fine di aprile che lo stato di avanzamento finanziario in termini di pagamenti effettuati era di poco meno dell’8%), si aggiunge il sistematico spiazzamento delle risorse comunitarie, programmate per obiettivi strutturali e straordinari, verso obiettivi ordinari di spesa corrente. La corretta ed efficiente gestione delle risorse comunitarie è strettamente connessa alla grave situazione del bilancio regionale, le cui voci di spesa risultano ulteriormente aumentate evidenziando una situazione seria di effettiva insostenibilità delle future gestioni, come ha ricordato il procuratore generale d’appello nel ‘Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione relativo al 2011’, presentato a fine giugno 2012. Agli aspetti specifici, già ricordati nei due punti precedenti, si aggiungono le difficoltà che ha attraversato l’attuazione del ciclo di programmazione 2007-2012 in Italia e, in particolare, nell’attuazione del Fesr.

VINCOLI PESANTI – La difficoltà ad attuare il cofinanziamento nazionale, la rimodulazione continua dei fondi Fas, il percorso avviato del federalismo fiscale e, non ultima, la crisi economica globale hanno determinato una serie di vincoli che hanno comportato la sostanziale ridefinizione degli obiettivi strategici ed operativi. Le iniziative intraprese dal governo Monti negli ultimi mesi hanno riproposto una nuova stagione per la politica di coesione: il piano d’azione-coesione dell’autunno 2011 che prevede anche un accentramento delle risorse non utilizzate a livello locale per finalità di carattere sociale, con particolare riferimento destinate al Mezzogiorno.

Mafia: Di Pietro, da Pm accuserei Napolitano


(ASCA) – Roma, 21 lug – ”Se fossi ancora pubblico ministero farei una requisitoria chiedendo la condanna politica del presidente della Repubblica sulla base di una prova documentale, la prova principe. Da parte di Giorgio Napolitano c’e’ una confessione extragiudiziale di reato politico”.

Lo afferma il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, nel corso di un’intervista a Il Fatto Quotidiano.

”Prima solleva il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, perche’ le intercettazioni indirette delle sue conversazioni con Nicola Mancino comporterebbero una ‘lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica’. Poi -sostiene Di Pietro-, in occasione del ventennale della strage di via D’Amelio, manda un messaggio ai familiari delle vittime in cui dichiara solennemente che ‘non c’e’ alcuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilita”.

Delle due l’una. E poi che manchi una norma che regoli le intercettazioni indirette del Capo dello Stato e’ all’ordine del giorno fin dal 1997, quando il ministro della Giustizia Flick sollevo’ la questione per un caso analogo che riguardava l’allora presidente Scalfaro. Napolitano ha avuto sette anni di tempo per sollecitare il Parlamento a intervenire. Non solo, poteva sollevare conflitto d’attribuzione contro la Procura di Perugia che, a quanto pare, lo ha indirettamente intercettato al telefono con Bertolaso. Non lo ha fatto, salvo cambiare idea con Palermo”.

”A questo punto siamo autorizzati a sospettare -dice Di Pietro- che quelle intercettazioni, che fanno cosi’ paura, contengano giudizi pesanti sui pubblici ministeri di Palermo.

In un paese normale, se non fosse Re Giorgio, ci sarebbe stata, non dico una rivolta popolare, ma almeno una rivolta del mondo dell’informazione. E invece sono tutti, o quasi, appecoronati e conniventi con il sistema di potere che sostiene la grande coalizione del governo Monti”.

Trattativa Stato-mafia: Così si cercò un nuovo patto

PALERMO – L’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, quello sul «carcere duro» per i mafiosi varato all’indomani della strage di Capaci, c’entra, ma fino a un certo punto. O meglio, da un certo punto in poi, e solo per un pezzetto. La trattativa è cominciata prima, ed è continuata dopo. Aveva obiettivi più ampi e complessi. Serviva a stabilire un nuovo patto di convivenza tra lo Stato e Cosa nostra, come quello che aveva resistito fino al 1992.

In passato il garante dei boss era stato Giulio Andreotti, ma all’inizio degli anni Novanta appariva usurato e non più affidabile. Nel suo governo era arrivato a lavorare perfino Giovanni Falcone, direttore generale del ministero della Giustizia chiamato dal Guardasigilli socialista Claudio Martelli che nell’87 era stato beneficiato dai voti pilotati dalla mafia. Aveva tradito, Andreotti. E per questo Riina, Provenzano e gli altri padrini decisero di voltare pagina. Non prima di decapitare definitivamente il suo potere uccidendo Salvo Lima, l’eurodeputato che gli faceva da luogotenente in Sicilia. Era il 12 marzo 1992. La trattativa per ridefinire l’accordo tra la politica e la mafia nella Seconda Repubblica cominciò allora.

È il quadro disegnato dalla Procura di Palermo nella richiesta di rinvio a giudizio per il reato di «minaccia o violenza a un corpo politico dello Stato»; in questo caso il governo, ricattato dai mafiosi per ottenere «benefici di varia natura», tra cui la modifica di alcune leggi, la revisione del maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino, un migliore trattamento per i detenuti. La minaccia avevano già cominciato a metterla in pratica con l’omicidio Lima: una «strategia di violento attacco frontale alle istituzioni».

Subito dopo quel delitto uno degli imputati di oggi – l’allora ministro democristiano Calogero Mannino, uno dei successivi bersagli già designati – si attivò per salvarsi la vita. E attraverso contatti con investigatori e uomini dei servizi segreti cercò di individuare gli interlocutori giusti per «aprire la trattativa e sollecitare eventuali richieste di Cosa nostra» per scongiurare altri attentati. Poi arrivò la strage di Capaci in cui saltò in aria Falcone con sua moglie e gli uomini della sicurezza, e «su incarico di esponenti politici e di governo», i carabinieri del Ros (Subranni, Mori e De Donno) contattarono l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, «agevolando così l’instaurazione di un canale di comunicazione con i capi di Cosa nostra, finalizzati a sollecitare eventuali richieste».

Nel frattempo ci furono il cambio di governo(e di ministro dell’Interno, da Scotti a Mancino) e la strage di via D’Amelio che tolse di mezzo Paolo Borsellino, informato dei contatti tra i carabinieri e Ciancimino. Non dagli stessi carabinieri, però, che avevano ritenuto di lasciarlo all’oscuro. L’ipotesi, già avanzata dalla Procura di Caltanissetta nella nuova inchiesta su quella strage «anomala», è che Borsellino avrebbe rappresentato un ostacolo alla trattativa.

Nella ricostruzione dei pubblici ministeri di Palermo, lo Stato fu vittima di un’estorsione. E di fronte al ricatto di altri morti, gli uomini delle istituzioni aprirono un negoziato con gli estorsori. Capita spesso, nelle terre di mafia. Quando si paga il «pizzo» chi subisce la richiesta e paga è «parte lesa», ma chi fa da intermediario e diventa latore delle minacce (o addirittura sollecita le richieste dei taglieggiatori) viene considerato complice del racket. Allo stesso modo, gli esponenti del governo ricattato restano le potenziali vittime, mentre gli anelli intermedi della catena sono ritenuti corresponsabili insieme ai mafiosi. Che abbiano agito per la ragion di Stato, nell’inchiesta penale non conta; anche un reato commesso con le migliori intenzioni resta tale.

Ecco perché sono finiti sul banco degli imputati Mannino, i carabinieri e infine Marcello Dell’Utri: una vecchia conoscenza di Cosa nostra che, secondo l’accusa, subito dopo l’omicidio Lima «si propose come interlocutore di Cosa nostra» e in seguito, quando il suo amico e capopartito Silvio Berlusconi diventò presidente del Consiglio nel 1994, «agevolò materialmente la ricezione della minaccia».

L’indagine palermitana si ferma a questo punto, quando un nuovo quadro politico fu raggiunto e – forse – anche un nuovo equilibrio politico-mafioso. In mezzo avvennero le stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma, con le pressioni per alleggerire il «41 bis» e il «segnale di distensione» lanciato dal ministro della Giustizia Giovanni Conso, succeduto a Martelli, che non rinnovò il «carcere duro» per oltre trecento detenuti. Tra cui pochi o pochissimi esponenti di spicco di Cosa nostra, ma questo è un dettaglio. Era un segnale, per l’appunto, e come tale doveva essere interpretato.

Su questo punto la Procura ritiene che Conso non abbia detto la verità quando ha riferito i motivi per cui prese quella decisione, ed è stato messo sotto inchiesta per false informazioni al pm, insieme all’ex direttore generale delle carceri Adalberto Capriotti. Come le vittime del racket che negano il ricatto. Nei loro confronti l’indagine è stata stralciata, e rimane sospesa in attesa dell’esito del processo principale. Rientra invece nella richiesta di rinvio a giudizio un altro ex ministro accusato di aver mentito, Nicola Mancino. Il quale, avendo deposto al processo contro il generale Mori per la mancata cattura di Bernardo Provenzano (una delle cambiali pagate alla mafia nella trattativa, secondo l’accusa), risponde di una presunta falsa testimonianza: avrebbe detto bugie sui reali motivi dell’avvicendamento al Viminale e sulle informazioni ricevute da Martelli riguardo ai contatti tra i carabinieri e Ciancimino, avvenuti tramite il figlio dell’ex sindaco, Massimo. Quest’ultimo imputato, nel ruolo di «postino» tra suo padre e Provenzano, di concorso in associazione mafiosa.

Questa è il mosaico composto dalla Procura palermitana. Ora si va davanti a un giudice. Per stabilire se si tratta di una ricostruzione sorretta da prove sufficienti per celebrare un processo, solo un’ipotesi non riscontrabile, o pura fantasia su quel che accadde in Italia, vent’anni fa. Al tempo delle stragi di mafia.

Stato-Mafia, chiesto processo per Dell’Utri, Mancino e Provenzano

La Procura di Palermo ha chiuso le indagini sulla trattativa Stato-mafia. I pm hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio dei 12 indagati tra cui figurano lex ministro Calogero Mannino, lex presidente del Senato Nicola Mancino, e il senatore Marcello DellUtri. La richiesta, che è stata vistata dal procuratore capo Francesco Messineo, sarà trasmessa nelle prossime ore al Gip.Annunci GooglePaga Meno i Tuoi DebitiCome Uscire dal Tunnel dei Debiti Non Chiedendo più Finanziamenti!www.AgenziaDebiti.it/paga-MenoMalattia di ParkinsonInformazione e ricerca scientifica Scopri le ultime novitàwww.parkinson.itLe richieste di rinvio a giudizio riguardano anche i capimafia Totò Riina, Giovanni Brusca, Antonio Cinà, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano.Poi uomini delle istituzioni e politici: lex generale Antonio Subranni, lex colonnello dei Ros Giuseppe De Donno, lex generale del Ros Mario Mori, lex ministro Calogero Mannino e il senatore Marcello dellUtri.Tutti, tranne Mancino, sono accusati di attentato a un corpo politico. Mancino risponde invece di falsa testimonianza.Tra i primi a commentare la richiesta dei giudici è stato proprio Nicola Mancino. “Dopo la comunicazione della conclusione delle indagini sulla cosiddetta trattativa fra uomini dello Stato ed esponenti della mafia, ho chiesto inutilmente al Pubblico ministero di Palermo di ascoltare i responsabili nazionale dellordine e della sicurezza pubblica capi di gabinetto, direttori della Dia, capi della mia segreteria, prof. Arlacchi, ad esempio, i soli in grado di dichiarare se erano mai stati a conoscenza o se mi avessero parlato di contatti fra gli ufficiali dei carabinieri e Vito Ciancimino e, tramite questi, con esponenti di Cosa Nostra. A questo punto ho rinunciato al proposito di farmi di nuovo interrogare e di esibire documenti. . “Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo – aggiunge nella nota -. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato”.Tutti, tranne Mancino, sono accusati di attentato a un corpo politico

viaStato-Mafia, chiesto processo per DellUtri, Mancino e Provenzano – Adnkronos Cronaca.

Creato il primo automa derivato da cellule del cuore di un topo. Prossimo passo l’uso di tessuti umani

L‘aspetto è in tutto e per tutto quello di una medusa, ma i suoi geni sono quelli di un topo. I progressi nella biomeccanica marina, nella scienza dei materiali e dell’ingegneria dei tessuti, hanno infatti permesso a un team di ricercatori statunitensi del California Institute of Technology (Caltech) e dell’Università di Harvard di creare il primo automa derivato da cellule del cuore di un topo che pulsano in un foglio di silicone. La medusa artificale è una sorta di fiore con otto petali e nuota e pulsa nell’acqua con movimenti molto simili a quella della sua omologa naturale, se stimolata elettricamente.

L’idea nasce dalla caparbietà di Kit Parker, a capo del team di ricerca, che lavora da tempo alla creazione di modelli artificiali di tessuto cardiaco umano per la generazione di organi e il test di farmaci: «Il cuore è una pompa che “spinge” il sangue in tutto il corpo, così le meduse si muovono nell’acqua attraverso un movimento di pompaggio. La loro morfologia di base è quindi molto simile al muscolo cardiaco e costruire un medusoide é un modo per comprendere le leggi fondamentali della propulsione biologica, per affinare sempre di più l’ingegneria dei tessuti biologici», spiega Parker.

I bioingegneri americani hanno creato la struttura del medusoide facendo crescere un singolo strato di muscolo cardiaco murino su un foglio di polidimetilsilossano modellato. Un campo elettrico applicato alla struttura causa una contrazione muscolare e comprime il medusoide, che poi torna elasticamente alla sua forma originaria grazie al silicone.

Prossima tappa del team, che ha pubblicato la ricerca su “Nature Biotechnology” è ora quella di costruire un medusoide a partire da cellule di cuore umano. Prima però si cercherà di far evolvere ulteriormente l’androide, permettendogli di girare e muoversi in una direzione particolare, incorporando anche un semplice “cervello” così che possa rispondere all’ambiente in cui si muove e replicare comportamenti più avanzati, come dirigersi verso una sorgente di luce in cerca di energia o di cibo

ANCORA LEI – Sandro Capodiferro

Ancora Lei

Seduto su di un divano di certezze, guardo le immagini da uno schermo colorato mentre volute di fumo accecano i miei occhi: un provvidenziale fastidio per non vedere e fingermi distratto. Nel silenzio del mio salotto asettico e piatto, mi trovo ad ascoltare la voce di un anonimo cronista che riporta la notizia assurdamente declamata tra le tante che impegnano i neuroni per il solo tempo di una frazione di secondo, quasi a fiaccarne la gravità nella scusante di un palinsesto tiranno. Un’altra lei a riempire un minuto scarso di comunicazione, a ritagliare sulle coscienze dei più l’ennesima reazione di salvifico sconforto, mentre intorno a me tutto tace come in attesa di una ribellione che non arriva, se non dentro di me. Questo ambiente che mi accoglie descrive tutto ciò che mi accomuna ad un genere, ad una stirpe, a un modo di essere solo fortuitamente cromosomico. E’ maschile una tenda bianca e ritta sugli attenti, un mobile d’acciaio freddo e lucido. Lo è un frigorifero semivuoto convinto della sua astinenza da un proprietario pigro che spaccia tutto questo per essenziale e utile; è virile una tavola di vetro dove non mangi mai perché un tappeto ha tutto ciò che può servirti ad essere più maschio durante il tuo letale pasto a ventre gonfio e irsuto. E’ così che ci si uccide di soli carboidrati e proteine proclamandosi asciutti e troppo impegnati; si riempiono le vene di insalubri sostanze fatte transitare per gozzi voraci e mal rasati, si iniettano gli alveoli polmonari di nebbia argentea e puzzo di bruciato, rigettandone con maschia decisione pezzi di vita, sprezzanti del pericolo. Quella notizia già non è più nulla e quella lei galleggia nei pensieri di chi dorme consapevole e appagato di quanto tutto questo faccia da sempre drammaticamente parte del gioco. Ma quale è gioco? E’ quello della vita ed è la sua per giunta. Non è un discorso dal quale lasciarsi annoiare nel ripetersi continuo di una storia millenaria fatta di tante lei che nell’anonimato di un istante hanno svettato, celebri un minuto, per esser dimenticate il successivo. E allora guardo ancora la mia stanza e provo a disegnarla nello spazio di un pensiero come se tutte quelle vittime fossero qui. Vedo lo sguardo attento dai mille toni d’espressione, arguto, indagatore, vero, forte ma anche scettico, disilluso, coinvolgente, freddo, colato via in una riga di rimmel che lascia traccia liquida delle proprie emozioni. Ascolto nell’aria le parole giuste, salaci, spontanee o programmate, perfide o dolcissime, di conforto, d’ira o d’amore, pronunciate da bocche morbide e taglienti mentre i denti mordono la patina vivida di un rossetto che ne accentua il lucido pensiero. Seguo intorno a me i gesti di mani capaci di essere ali per librarsi in volo oppure forti strumenti di precisione durante le innumerevoli attività delle quali sono in grado; mani che accarezzano e ora graffiano la mia anima, lucide di smalto, bagnate di saliva. Raccolgo tutto questo intorno a me e me lo metto addosso per ricordare la lei che sono anch’io come lo siamo stati tutti e ancor lo siamo. Fin dalla nascita virile che per prima ha ucciso questa lei, perché essere maschi e non evolvere in uomini è come aver sedato nel cloroformio degli istinti più terreni quella parte femminile che sostiene ogni nostro gesto. Non capire questa nostra comune radice è una bugia della quale fare scempio, è la codarda ipocrisia che è divenuta necessaria per non sentirsi poco più di nulla a confronto di quelle tante lei per le quali una dimensione non ha mai fatto la differenza, un lavoro è sempre stato soltanto una delle tante facce della vita, un amore è diventato il luogo dove essere e non soltanto comparire per sparire impaurite. Sul mio divano ora mi rivesto di me, lavando via il rimmel di quegli occhi, il rosso delle bocche e il brillio di quelle unghie, confondendoli con le mie cromie di nulla come di sottomarca, dolce amica, portando te che ridi in un ricordo di quanto poveri son gli uomini quando per esser come te ti uccidono eliminando la fonte del confronto, illudendosi così di non averne, sodomizzati dall’effimera illusione di un possesso contro natura, come la vile assuefazione alla cronaca che ancora una volta parla di te.

Sandro Capodiferro

MANAGER DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE = MILIARDARI, ECCO I REDDITI DICHIARATI

Sono ricchi, talvolta ricchissimi, hanno storie diverse, alcuni lavorano tantissimo, altri hanno solo cariche di rappresentanza ma ben remunerate. Ma hanno tutti una cosa in comune: lavorano per la Pubblica amministrazione. Grazie a una legge del 1982, ogni anno i “titolari di cariche elettive e direttive di alcuni enti”, cioè manager scelti dalla politica per guidare pezzi del potere economico statale o parastatale, devono rendere nota la loro dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e la loro situazione patrimoniale, le auto che possiedono e le società di cui hanno azioni. Attenzione: si parla dei redditi complessivi, non degli stipendi pagati dalla pubblica amministrazione (anche se per molti le due cose coincidono, soprattutto per quelli al vertice di istituzioni che rendono incompatibili gli incarichi privati). Dal bollettino pubblicato il 16 luglio sui redditi 2010 che Il Fatto Quotidiano ha potuto consultare emerge uno spaccato della società italiana, il racconto di chi sono i veri ricchi di questo Paese (almeno i veri ricchi che non evadono, o quasi).

Nell’elenco compaiono alcuni politici, tipo Piero Fassino (128.191 euro) o Matteo Renzi (109.573 euro) in quanto presidenti di fondazioni locali, a Torino il teatro Regio, a Firenze il Maggio Fiorentino. Gianni Alemanno, citato in quanto presidente della Fondazione teatro dell’Opera di Roma, dichiara 152.055. Ma sembrano indigenti a confronto degli altri. Gli stipendi più alti si trovano nella prima linea delle società controllate dal Tesoro, nomi poco conosciuti al grande pubblico ma strapagati: guadagna 727.170 euro Domenico Arcuri, amministratore delegato di quell’Invitalia che aveva scelto lo squattrinato Massimo Di Risio per rilevare la Fiat di Termini Imerese (ora è stato scaricato da tutti, dopo aver fatto perdere un anno di tempo). Il vicepresidente di Fintecna, società che sta passando dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti, Vincenzo Dettori, dichiara 392.392 euro. Mentre i due vertici della Cassa depositi e prestiti sono su un altro ordine di grandezza: il presidente Franco Bassanini ha un reddito di 567.262, l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini 1.925.997.

Ci sono anche figure di cui ci eravamo un po’ dimenticati: a fine 2011 il professor Augusto Fantozzi si è dimesso da commissario straordinario di Alitalia, incaricato di liquidare quel che restava della bad company, ma per il 2010 ha dichiarato un reddito di 3.686.272. Il suo compenso per l’attività di commissario è sempre stato misterioso e tuttora non sappiamo quanta parte di quei 3,6 milioni sia dovuta a tale attività. Il suo successore Stefano Ambrosini, che nel 2010 ancora non era subentrato a Fantozzi, si ferma a 957.379. L’ex leghista Dario Fruscio è stato per anni nel cda dell’Eni, poi è passato all’Agea, la società che gestisce i finanziamenti all’agricoltura, Umberto Bossi lo aveva rimosso e lui è riuscito a riprendersi la poltrona a colpi di ricorsi al Tar: deve essere ben pagata, visto che nel 2010 Fruscio ha dichiarato 1.048.478 euro. Un altro manager di area leghista, il varesotto Giuseppe Bonomi, alla Sea che gestisce l’aeroporto di Malpensa, dichiarava 919.847 euro.

NEL RAPPORTO curato dalla presidenza del Consiglio ci sono anche curiose eccezioni verso l’alto e verso il basso. L’imprenditrice milanese Diana Bracco, che figura in quanto presidente di Expo 2015, ha un reddito di 5,6 milioni di euro, ma non stupisce più di tanto, è noto che il suo gruppo sia redditizio. Sorprende invece un po’ la situazione di Mauro Cipollini, amministratore delegato di TechnoSky, una controllata dell’Enav, l’ente nazionale per l’aviazione civile che è finito al centro di alcune inchieste per presunte tangenti. Cipollini nel 2010 ha dichiarato soltanto 3.987 euro. Eppure nel 2007 ha comprato una Mini Cooper e l’anno successivo, nel 2011, immatricola una Porche Cayenne. Altra curiosità: nell’elenco c’è perfino il professor Francesco Alberoni, un tempo guru della sociologia all’Università di Trento oggi pensionato ed editorialista (nel 2010 ancora al Corriere della Sera) e presidente del Centro sperimentale di cinematografia: reddito da 396.389 euro.

Chi lavora alla Rai e alla Banca d’Italia ha redditi decisamente superiori. L’ex presidente della tv pubblica, il giornalista Paolo Garimberti, nel 2010 guadagnava 670.304 euro, l’allora direttore generale Mauro Masi ne dichiarava quasi altrettanti, 695.466, la sua sostituta Lorenza Lei si fermava a 424.106. Alla Banca d’Italia nel 2010 il più ricco era Mario Draghi, allora governatore, con 1,021 milioni di euro. Il suo direttore generale, Fabrizio Saccomanni, che ora potrebbe essere riconfermato dopo aver sfiorato la nomina a governatore, non se la passava tanto peggio: 838.596 euro. Ignazio Visco, suo vice all’epoca e oggi governatore, dichiarava la metà ma comunque cifre consistenti: 405.201 euro. Poi c’è Finmeccanica, società controllata dal Tesoro e di cui tutto è noto, visto che è quotata in Borsa. O meglio, sono noti gli stipendi dei suoi top manager ma non le loro dichiarazioni dei redditi. Eccole: nel 2010 Giuseppe Orsi, oggi presidente, dichiarava 1,654 milioni, l’allora presidente Pier Francesco Guarguaglini 5,5 milioni, Giorgio Zappa e Alessandro Pansa, entrambi con la carica di direttore generale, avevano rispettivamente un reddito di 2,5 e 2,6 milioni.

DA QUASI SEI ANNI diversi governi hanno provato a mettere un tetto agli stipendi, anche cumulati, dei manager che lavorano nel settore pubblico. L’ultimo tentativo è del governo Monti che a marzo ha fissato il limite a 294mila euro lordi all’anno. Sarebbe un bel crollo del reddito di molti dei protagonisti del rapporto di palazzo Chigi. Per rendere operativo il tetto serve un decreto del ministero del Tesoro che, come ricordato ieri da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ancora non si è visto. Qualche mese fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, reddito 2010 da 1,36 milioni, si era detto sicuro che nel 2013 avrebbe dichiarato soltanto i 294 mila euro previsti dal governo. Forse era stato troppo pessimista.

di Stefano Feltri e Carlo Tecce

da Il Fatto Quotidiano del 17 giugno 2012

PER UN PUGNO DI 40 MILIONI «Così Dell’Utri ricattava Berlusconi»

Silvio Berlusconi - Caricature

Silvio Berlusconi – Caricature (Photo credit: DonkeyHotey)

 

Per l’accusa l’ex premier pagò il silenzio nei processi

PALERMO – Sono tanti soldi, più di quaranta milioni, quelli che Silvio Berlusconi ha versato a Marcello Dell’Utri negli ultimi dieci anni. Il prezzo del ricatto, secondo l’accusa, esercitato sull’ex presidente del Consiglio da uno dei più stretti collaboratori colluso con la mafia. Il quale, per tacere particolari scomodi o per altre ragioni legate alle sue «relazioni pericolose» con i boss, ha costretto Berlusconi a pagarlo profumatamente. Anche di recente. Almeno fino alla vigilia della sentenza della Cassazione, dopo la quale sarebbe potuto finire in galera. A meno di darsi a una clamorosa latitanza. Invece evitò la cella perché la Corte annullò la condanna, pur confermando i rapporti dell’imputato con Cosa Nostra negli anni Settanta e Ottanta. Ma il ricatto, nell’ipotesi della Procura di Palermo, non s’è mai fermato.

Solo la metà di quel fiume di denaro risulta formalmente giustificata dall’acquisto di villa Comalcione a Torno, sul lago di Como. Venduta da Dell’Utri a Berlusconi per 21 milioni l’8 marzo scorso (il giorno prima del giudizio della Corte suprema, per l’appunto), nonostante una valutazione del 2004 fissasse il prezzo della lussuosa abitazione a «soli» 9,3 milioni. Tutto il resto non ha motivazione ufficiale, e i versamenti dai conti bancari dell’ex premier a quelli del senatore e di sua moglie sono stati registrati sempre sotto la stessa voce: «prestito infruttifero». Stesso discorso per la donazione di titoli bancari.

I magistrati considerano Berlusconi vittima della presunta estorsione realizzata dal senatore del Pdl che lo aiutò a fondare Forza Italia e l’ha accompagnato in tutta la sua avventura politica. E come lui sua figlia Marina, giacché alcuni pagamenti sono arrivati da conti correnti cointestati a lei. Per questo entrambi sono stati convocati.

La nuova indagine nasce da uno stralcio di quella sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi, tra il ’92 e il ’94, all’interno della quale un anno fa la Procura di Palermo acquisì le prime tracce dei movimenti milionari scovati dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta romana sulla cosiddetta P3 (Dell’Utri è imputato anche lì): 9 milioni e mezzo elargiti in tre tranche : 1,5 il 22 maggio 2008, tratto da un conto del Monte dei Paschi di Siena, e altri 8 tra il 25 febbraio e l’11 marzo 2011, arrivati da una filiale milanese di Banca Intesa private banking. Dopo gli approfondimenti degli investigatori delle Fiamme gialle sono venuti alla luce altri movimenti bancari sospetti, è così scattata la nuova ipotesi di estorsione. Collegata, più che alla trattativa, al processo per concorso in associazione mafiosa a carico del senatore.

Proprio mercoledì è cominciato il nuovo dibattimento di appello, dopo l’annullamento della Cassazione. Che però è stato parziale, poiché alcune parti della precedente sentenza sono state confermate. Come quella in cui è sancita la colpevolezza del senatore per i fatti precedenti al 1974. È stato definitivamente accertato che Dell’Utri, «avvalendosi dei rapporti personali di cui già a Palermo godeva con i boss, realizzò un incontro materiale e il correlato accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi e l’imprenditore amico Berlusconi», hanno scritto i giudici. Un’intermediazione da cui derivò «l’accordo di protezione mafiosa propiziato da Dell’Utri» in favore del futuro presidente del Consiglio. In questa trama criminale è rimasto impigliato il solo senatore, mentre Berlusconi non ha subito conseguenze nonostante le inchieste subite (è stato più volte inquisito dalla Procura di Palermo, ma sempre archiviato) sulla misteriosa origine dei suoi capitali. Oggi l’ipotesi dell’accusa è che con quei quaranta milioni, e chissà quali altre «donazioni» non ancora scoperte, l’ex premier abbia comprato il silenzio del suo amico e collaboratore su qualche particolare che poteva trasformarlo da vittima dei boss in un complice consapevole dei traffici di Cosa Nostra.

In questa ricostruzione Berlusconi è diventato dunque vittima di Dell’Utri, dopo esserlo stato della mafia per i ricatti dai quali il senatore lo avrebbe liberato grazie ai suoi «buoni uffici» negli anni Settanta e Ottanta. Ad esempio attraverso l’assunzione come stalliere nella villa di Arcore del «picciotto» Vittorio Mangano, «indicativa di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia», scrivono ancora i giudici della Cassazione.

La convocazione dell’ex premier in Procura coincide con quella chiesta dal sostituto procuratore generale nel nuovo processo d’appello a Dell’Utri. Anche in quel giudizio l’ex capo del governo è considerato dall’accusa una «persona offesa» dai reati attribuiti all’imputato. Nel 2002, ascoltato dal tribunale, si avvalse della facoltà di non rispondere poiché all’epoca era indagato in un procedimento connesso. Oggi non lo è più, e quindi sarebbe obbligato a rispondere. Come in Procura. I legali di Dell’Utri si sono opposti alla sua testimonianza. La Corte d’Appello deciderà, i procuratori hanno già deciso.

L’acquisto della villa sul lago di Como, oltre a non spiegare l’intera somma dei versamenti, agli inquirenti sembra un paravento. Al di là della sopravvalutazione rispetto alla stima del 2004, infatti, Dell’Utri giustificò i «prestiti infruttiferi» del 2008 e del 2011 con i restauri da effettuare in quella residenza. Finanziati da Berlusconi, dunque, che alla fine avrebbe l’avrebbe pagata più di 30 milioni. Un po’ troppo, pensano i pubblici ministeri in attesa di spiegazioni.
Giovanni Bianconi

Nicole Minetti ad Arcore: faccia a faccia con Berlusconi – Milano

http://video.corriere.it/minetti-pirellone/17ff4d18-cfee-11e1-85ae-0ea2d62d9e6c

La consigliera del Pdl convocata dopo una giornata in cui si sono rincorse le voci di sue dimissioni

MILANO – Nicole Minetti è ad Arcore per un incontro con Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferiscono fonti di partito, la consigliera regionale lombarda è arrivata nella residenza del Cavaliere. Su di lei pende la richiesta di dimissioni più volte reiterata dal segretario del Pdl Angelino
LA GIORNATA IN CONSIGLIO REGIONALE – Nicole Minetti si era presentata martedì mattina in Consiglio regionale per partecipare a una seduta straordinaria su Expo. Giacca beige, maglietta e pantaloni neri e tacchi alti. Abbronzata, dopo aver trascorso qualche giorno in relax a Porto Cervo, in Sardegna, mentre sulla terra ferma si discuteva delle sue (richieste e sollecitate) dimissioni.

DOMANDE E FOTO – La consigliera regionale del Pdl non ha rilasciato nessuna dichiarazione. Per raggiungere il suo posto a sedere è passata tra un’ala di cronisti e fotografi che le hanno fatto mille domande e scattato innumerevoli flash. Lei non ha risposto. Non era imbronciata come al solito ma non ha voluto dire nulla. In molti, tra i colleghi, sono andati a salutarla.

«PER IL BENE DI TUTTI» – «Per il bene di tutti non ho intenzione di rilasciare dichiarazioni per cui smettiamola qua, non dico altro, non rispondo a nessuna domanda; quindi per cortesia veniamoci incontro». Questa è stata la risposta di Nicole Minetti ai giornalisti. A una domanda sulle dichiarazioni di ieri (lunedì 16 luglio, ndr) di Daniela Santanchè, la consigliera regionale, imputata al processo Ruby bis e di cui diversi esponenti del Pdl chiedono le dimissioni, ha commentato: «Non rispondo a nessuna provocazione né domanda». E poi, ha comunque detto ai cronisti di offrire «volentieri il caffè a tutti quanti».

FORMIGONI – «Evitate di dire che sono imbarazzato o preoccupato e nervoso, io sono serio, tranquillo, quasi gioioso, e determinato come sempre». A dirlo è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a margine dei lavori del Consiglio regionale, parlando delle eventuali dimissioni di Nicole Minetti. Lunedì il coordinatore regionale Pdl, Mario Mantovani, aveva dichiarato che sarebbero arrivate in giornata ma fino ad ora non risultano arrivate all’ufficio protocollo. Formigoni ha sottolineato: «Ieri (lunedì, 16 luglio, ndr) ho fatto riferimento alle parole del coordinatore regionale Mantovani io non ho informazioni ulteriori. A quanto risulta le dimissioni non sono state date e non so se e quando le darà»

L’«INCIDENTE» – Una prognosi di 10 giorni per una distorsione alla caviglia. È quanto accaduto al consigliere lombardo della Lega Nord, Roberto Pedretti, travolto dalla folla di giornalisti, cameraman e fotografi che inseguivano Nicole Minetti in Regione.

Alta velocità, sabotata la Milano-Bologna circolazione treni in tilt

BOLOGNA – Alta velocità in tilt, questa mattina, a pochi chilometri dalla stazione di Bologna. Un pezzo metallico, forse un gancio a uncino, posizionato sulle linee aeree ha danneggiato il pantografo di unFrecciarossa. Una tecnica riconducibile all’area anarchica, secondo gli inquirenti che seguono la pista del sabotaggio.

Il sabotaggio è avvenuto tra le stazioni di Ponte Samoggia e Anzola Emilia, tra le province di Modena e Bologna. Sul posto sono presenti tecnici delle Ferrovie dello Stato, Polfer e carabinieri. Danneggiato il pantografo del Frecciarossa 9501 che da Milano era diretto a Bologna. I passeggeri sono stati fatti scendere nella stazione del capoluogo emiliano e trasferiti su un altro treno. Il sabotaggio sta causando ritardi compresi tra i 10 e i 20 minuti sulla linea ad alta velocità, dove i treni viaggiano su un solo binario. Ferrovie dello Stato è infatti in attesa del nullaosta del magistrato per la riapertura della tratta.

 

Capri, ambulanza usata come taxi La denuncia corre su Facebook

CAPRI – Il video, postato su Facebook, che riprende medici e personale del 118 in servizio sull’isola di Capri, mentre salgono a bordo dell’ambulanza del dipartimento emergenza Napoli unico mezzo destinato al pronto soccorso sul territorio dell’isola, ha creato indignazione e protestesulla pagina web “Isola denuncia”, il gruppo creato dopo i giorni della protesta contro gli aumenti dei biglietti degli aliscafi.

Il clamore sollevato dalle immagini, pubblicate su Fb, in cui viene ripreso il personale del 118 che utilizza l’ambulanza come un vero e proprio taxi ha già portato i dirigenti napoletani del servizio 118 ad aprire un’inchiesta amministrativa interna.

Nel video, infatti, si notano ben sei persone più l’autista che prendono posto nell’autoambulanza, la vettura adibita al trasporto degli ammalati o nei servizi di emergenza e pronto soccorso, mettendone a rischio la sterilità.

 

Stato-mafia, l’inevitabile passo del Colle

ROMA – E’ stata una decisione sofferta, ma inevitabile. Napolitano ha cercato attraverso vari passaggi istituzionali ad arrivare ad un chiarimento. Tutto è stato inutile. Con un punto crucialeabbastanza incomprensibile, almeno per il Colle: perché di fronte all’accertata irrilevanza di quelle registrazioni telefoniche tra il capo dello Stato e Mancino, non si è proceduto alla loro distruzione? Ora di fronte al rischio che un suo eventuale silenzio potesse comportare una «deminutio» delle prerogative presidenziali sancite dalla Costituzione, Giorgio Napolitano ha dovuto far prevalere i suoi doveri di capo dello Stato rispetto a quelli altrettanto onerosi di capo del Csm e avviare la procedura del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta.

Beninteso: nessun intento polemico o desiderio di soffocare le inchieste sulla presunta trattativa Stato-mafia nell’iniziativa del capo dello Stato anche perché – come si è detto – l’inesistenza di interessi personali è già attestata dalla conclamata irrilevanza delle intercettazioni ai fini giudiziari. Quel che invece ha indotto Napolitano ad agire è la preoccupazione che si potesse creare un pericoloso precedente su un terreno sovente melmoso come quello delle intercettazioni telefoniche. Di qui un’esigenza di chiarezza non tanto per sé quanto per l’istituto presidenziale che – non a caso – induce Napolitano a ricordare la lezione di Luigi Einaudi e riporta in qualche modo alla memoria il più immediato precedente in materia di conflitto di attribuzione: quello del 2005 tra il precedente capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, e l’allora Guardasigilli Roberto Castelli sulla grazia presidenziale nella scia del caso Sofri.

Ora il tema è più delicato. Per il Colle quell’intercettazione telefonica andava e va distrutta e il fatto che essa sia «indiretta» non cambia la sostanza delle cose. Napolitano ha riflettuto bene prima di sollevare lo scontro tra poteri. Si è consultato con numerosi costituzionalisti. Egli non poteva tacere anche perché in più circostanze – ad esempio all’Aquila il 21 giugno scorso – aveva espresso tutta la sua indignazione per «la campagna di insinuazioni e di sospetti contro il Quirinale» alimentata dalle intercettazioni delle telefonate tra il suo consigliere D’Ambrosio e Mancino; una campagna – aveva sottolineato – fondata sul nulla, su interpretazioni arbitrarie e «talvolta con versioni manipolate».

Aveva fatto divulgare il testo di una lettera riservata del segretario generale del Colle, Marra, al pg della Cassazione in cui riferiva delle lamentele di Mancino perché non c’era il necessario coordinamento nelle indagini siciliane. Sperava che il polverone si dissipasse. Ma nulla è servito e quando ha compreso che quelle intecettazioni – ancorché irrilevanti – potevano aprire un vulnus nei poteri presidenziali, si è consultato con il suo staff giuridico e ha deciso di passare all’offensiva. D’altra parte, il pensiero di Napolitano sulle intercettazioni non da oggi è molto chiaro e preciso. Nell’incontro con i giornalisti all’Aquila aveva ribadito l’urgenza di una legge per regolamentare la delicata materia da deliberare in Parlamento «sulla base di un’intesa la più larga possibile».

Quanto ai suoi contenuti Napolitano si è limitato a indicare l’esigenza di rispettare e di conciliare tre valori fondamentali: il diritto alla sicurezza dei cittadini che comporta anche l’uso delle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura, il rispetto della privacy e la libertà di stampa.

 

«Legami con i Casalesi»: arrestato titolare del gruppo caseario Mandara. Sequestrati beni per 100 milioni

Gli agenti della Dia e del Noe dei carabinieri stanno eseguendo provvedimenti del gip di Napoli emessi su richiesta della Dda nei confronti del gruppo caseario Mandara, noto marchio della mozzarella Dop. Il titolare, Giuseppe Mandara, è stato arrestato insieme ad alcuni collaboratori e il patrimonio, stimato in oltre 100 milioni di euro sequestrato. Le accuse sono associazione per delinquere di stampo camorristico e reati in tema di tutela della salute pubblica.

l sequestro di beni eseguito dagli agenti della Dia e dai carabinieri del Noe di Napoli riguardano l’intero patrimonio aziendale del gruppo caseario «Mandara». Secondo quanto rende noto la Direzione investigativa antimafia, gli esponenti di vertice del gruppo imprenditoriale sarebbero legati al clan dei Casalesi. I particolari della operazione anticamorra, denominata «Bufalo», saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa convocata per le 11 nella sede della Procura della Repubblica di Napoli.

Siria: attivisti,nuovi scontri a Damasco

(ANSA) – BEIRUT, 17 LUG – Scontri tra forze governative e ribelli si registrano anche oggi nel quartiere Midan di Damasco, ad alcuni chilometri dal cuore della capitale, secondo i Comitati locali di coordinamento dell’opposizione. La stessa fonte segnala bombardamenti su alcuni sobborghi, Barzeh, Qabun, Jobar e Qadam. I Comitati parlano di bombardamenti anche a Homs sui quartieri ribelli di Khaldieh e Jorat Shayah, e su Dayr az Zor. La fonte parla di 97 uccisi ieri, 30 nella provincia di Hama e 21 in quella di Homs.

viaSiria: attivisti,nuovi scontri a Damasco – Top News – ANSA.it.

Sei in chat? Facebook ti spia (per combattere il crimine)

Sarebbero stati gli stessi portavoce del Sito in Blue a confermare che le chat attive all’interno del social network di Mark Zuckerberg vengono costantemente monitorate alla ricerca di indizi che permettano di scovare eventuali cyber criminali pronti a colpire.

Ad occuparsi di questa funzione di controllo sarebbe un apposito algoritmo creato dagli sviluppatori di Facebook, infatti, passare al vaglio “manualmente” miliardi e miliardi di parole digitate durante le sezioni di chat sarebbe (non solo virtualmente) impossibile. Il cyber crimine non dovrebbe essere però l’unico obiettivo di questa attività “spionistica” il cui operato sarebbe stato rivelato soltanto di recente, l’algoritmo sarebbe stato infatti creato anche per rilevare termini riconducibili a pericoli per la pubblica sicurezza e in particolare per i minori.
Un algoritmo, per quanto preciso, non può dare l’assoluta sicurezza di non produrre “falsi positivi”, per cui ci si augura che nessun abituale frequentatore della chat di Facebook rischi conseguenze legali derivanti da affermazioni male interpretate durante i controlli.

NICOLE MINETTI NON SI E’ DIMESSA

MILANO – Nicole Minetti non si è dimessa. All’ufficio protocollo del Consiglio regionale della Lombardia non è arrivata nessuna comunicazione e dunque la consigliera, indagata per favoreggiamento dellaprostituzione insieme a Lele Mora ed Emilio Fede, resta in carica. Oggi quindi alla seduta del Consiglio dedicata all’Expo, se sarà presente, tutti gli occhi saranno puntati su di lei. Sembrava che le dimissioni fossero cosa fatta, tanto che il segretario del partito Angelino Alfano ha risposto senza esitazioni «sì» quando gli hanno domandato se oggi si sarebbe dovuta dimettere. Invece per ora nessun passo indietro. Anzi, la consigliera senbra avere altre preoccupazioni, come suggerirebbero le immagini che la ritraggono a Porto Cervo.

Ad ogni modo c’è chi in questo ritardo ci legge anche un indebolimento dell’autorità del segretario, un nuovo colpo dopo la decisione di Silvio Berlusconi di ricandidarsi. Roberto Formigoni per ora glissa. Ricorda solo che «le dimissioni sono un istituto personale». Insomma, la palla è in mano a Nicole Minetti. Si parla di una trattativa serrata per lasciare, qualcuno prevede fra qualche giorno, qualcuno ad ottobre per maturare il vitalizio. In realtà, secondo il regolamento del Consiglio, Minetti deve dare una comunicazione scritta all’ufficio di presidenza e alla giunta delle elezioni e poi le sue dimissioni devono essere votate nella prima seduta disponibile.

L’ex ballerina di Colorado non ha rilasciato dichiarazioni. Ma hanno parlato, abbondantemente, quelli che l’attaccano, con il pressing del Pdl che continua, e quelli che la difendono. Secondo Ignazio La Russa «sarebbe bello se non fosse la sola» a dimettersi. Secondo Daniela Santanchè, Minetti «in questi mesi ha dimostrato di non essere adatta alla politica». Più sfumato il commento dell’ex ministro Mariastella Gelmini, convinta che fra qualche anno si dovrà chiedere scusa alle ragazze che andavano alle feste di Arcore.

«La sua candidatura è stata un errore, soprattutto per lei – ha spiegato -. Credo che la Minetti avrebbe la possibilità di esprimere le proprie capacità in altre direzioni». L’ex ministro dell’Istruzione dice no al linciaggio e in tanti difendono l’igienista dentale più famosa d’Italia. Le è arrivata una lettera aperta dei blogger Pdl di Retrovia – sito nato dopo l’esperienza dei formattatori – che accusandola ironicamente di tutti i danni del partito in realtà puntano il dito su Berlusconi, sui vertici del partito e su «cuordileone Alfano».

Da radicali, Pd, Sel e Idv arrivano critiche al Pdl che ne fa un capro espiatorio, con richiesta di dimissioni di Formigoni e/o Berlusconi. In pratica tutti quelli che avevano criticato la sua candidatura nel listino bloccato due anni fa, adesso criticano e considerano ipocrita la richiesta di dimissioni. Resta da vedere se arriveranno

Merkel, il portavoce gela Berlusconi: «Con lui nessun contatto da mesi»

BERLINO – Silvio Berlusconi e Angela Merkel «non hanno più avuto contatti da quando non è più premier, quindi non posso parlare attualmente di un rapporto cordiale». Lo ha detto il portavoce delgoverno tedesco Steffen Seibert aggiungendo che quando hanno lavorato insieme c’è stata «una buona collaborazione italo-tedesca».

L’intervista. Il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert ha risposto alla domanda di un giornalista sulle affermazioni fatte dall’ex premier in un’intervista alla Bild. «Ho un cordialissimo rapporto con la signora Merkel. La stimo per la sua franchezza, la sua serietà, la sua competenza, la sua dedizione. E non dimentico che insieme a me ha visitato l’Abruzzo dopo il terremoto», ha detto Berlusconi al tabloid tedesco.

 

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Trattativa Stato-mafia: indifendibile Quirinale – Sonia Alfano

E’ durata ancora per tutto il fine settimana la difesa a oltranza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, neanche fosse per legge immune alle critiche. In uno Stato di diritto io, anche da cittadina, ho persino il dovere di biasimare chi all’interno delle Istituzioni si renda protagonista di condotte disdicevoli. Non si tratta di polemizzare o di attaccare politicamente il Presidente della Repubblica; non si tratta di strumentalizzare. Ritengo semplicemente che sia indispensabile avere il buon senso di riconoscere eventuali illegittime ingerenze da parte di alte cariche dello Stato sulla giustizia, anche a rischio di risultare impopolari. E’ proprio questo il caso. Altro che “insinuazioni” e “sospetti”. Altro che complotti ai danni del Capo dello Stato (e poi, non è forse vero che nel 1991 l’asse Mancino-Napolitano attaccò violentemente Cossiga, chiedendo l’impeachment?). Qui di complotto ce n’è soltanto uno: quello contro la verità!

Le conversazioni intercorse tra il consigliere D’Ambrosio e l’ex vicepresidente del Csm Mancino, pubblicate integralmente dal Fatto Quotidiano, rivelano in maniera inequivocabile la natura intromissiva dell’intenzione di intervento da parte del Quirinale in procedimenti penali delicatissimi, che potrebbero svelare verità nascoste da un ventennio e più. Viene da chiedersi: da quando la Presidenza della Repubblica, per mezzo dei suoi consiglieri, ha il mandato di dispensare suggerimenti e strategie “difensive” ai cittadini chiamati a rispondere alle domande dei magistrati? Ancora nessuno ha inteso rispondere a questa domanda.

Napolitano, per la lettera inviata al procuratore generale della Cassazione, si è “difeso” utilizzando la scusa, peraltro inammissibile, della richiesta di “coordinamento” tra le procure. Forse non tutti sanno che non è prerogativa del Presidente della Repubblica coordinare le procure, né è compito del pg della Cassazione. Napolitano e il suo staff lo sanno: per questo cercano di coinvolgere il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso in questa scabrosissima vicenda.

Il Presidente della Repubblica è semplicemente indifendibile, anche perché dalle intercettazioni si evince la sua vera intenzione: evitare un confronto “pericoloso” a un testimone (Nicola Mancino). Napolitano ritiene strumentale la disapprovazione nei confronti di chi progetta un intervento sul collegio di un tribunale per impedire il confronto tra due testi? Per quale motivo il Quirinale dovrebbe preoccuparsi di eventuali contrasti tra le testimonianze di due testi chiamati a rispondere nell’ambito di un procedimento penale? Non è forse questo un modo per intralciare la giustizia e impedire la ricerca della verità?

Se veramente il Presidente della Repubblica avesse chiesto al suo consigliere giuridico di suggerire a Mancino un confronto privato con Martelli in vista di quello di fronte ai magistrati, infatti, ci troveremmo di fronte ad un vulnus istituzionale senza precedenti. Come va interpretata, secondo il Quirinale, quell’intercettazione? E come vanno interpretate le parole sul procuratore capo di Palermo Francesco Messineo? D’Ambrosio, in una conversazione con il solito Mancino, dice addirittura “Una cosa è più facile parlare con il pm, perché… chiedere… io quello che si può parlare è con Grasso, per vedere se Grasso dice… eh… di evitare… cioè questa è l’unica cosa che vedo perché Messineo, credo che non dirò mai… deciderà Di Matteo… dirà così no”.

Già, deciderà Di Matteo. Ecco. Il problema, per tutte le personalità pubbliche, politiche o istituzionali coinvolte in quest’inchiesta sulle trattative Stato-mafia, è proprio lui: il sostituto procuratore Di Matteo, reo persino di scrivere libri. Intransigente, questo Pubblico Ministero. Troppo. Ecco perché (non so se lo avete notato) questo magistrato risulta essere sempre più isolato, emarginato. In procura e fuori dalla procura. L’ho detto qualche giorno fa e lo ribadisco oggi: sembra di rivivere il 1992.

Se a “sbagliare” è stato Loris D’Ambrosio, il quale comunque rivela a Mancino che “il Presidente se l’è presa a cuore”, l’Italia si aspetta da parte di Napolitano un gesto forte: prenda le distanze dal suo consigliere e smentisca le affermazioni dalle quali traspare un atteggiamento poco commendevole del Capo dello Stato, intento a palesare, per mezzo proprio di

D’Ambrosio, la ferma volontà di intervenire in qualche modo a “difesa” di Mancino.

Napolitano condivide l’idea di D’Ambrosio secondo la quale i magistrati di Palermo tengono aperte delle “voragini” per infilarci dentro tutto quello che può loro “fare comodo”? Napolitano condivide la risposta di D’Ambrosio alla richiesta di Mancino di incontrare il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso in gran segreto?

Io credo che il Presidente Pertini, alle pressanti richieste di Mancino avrebbe risposto con una pernacchia. Al limite, se proprio avesse voluto dare un consiglio, allora gli avrebbe detto di recarsi dai magistrati e di raccontare tutta la verità di cui era in possesso. Ma non è più il tempo dei confronti. Continuare sarebbe offensivo per la memoria di Sandro Pertini.