LE OPINIONI IMPEDISCONO AI FATTI DI ESISTERE? Enrico Maria Troisi


Angelo di Carlo, 54 anni, si è dato fuoco davanti a Montecitorio il 12 agosto, nella calcolata (?) indifferenza dei media, ed è morto ieri. Lascia 160 euro in eredità al figlio superstite. La notizia è stata filtrata, trattenuta, o altro, per cui Angelo di Carlo non s’è mai ucciso fin quando non è morto! Un dramma privato (il Di Carlo risulta vedovo, disoccupato) sfociato in un martirio pubblico non merita alcuna riflessione, nè un approfondimento, nè niente, fin quando non sia accertata l’adesione dell’uomo ad una qualsiasi delle sigle sindacali o ai gruppi di attivisti che popolano il panorama della rappresentanza politica italiana (non certo i Partiti). Anzi “guarda e passa”, come nella ritirata dell’Armir: quando devi salvare la pelle metti a riposo la coscienza. Angelo di Carlo non ha neanchè la dignità di diventare una statistica. Deve essergli andato tutto Murphynianamente storto nella vita, come, ahimè, nella morte. Si dirà che “era instabile”, “impulsivo”, “fanatico”, “oltranzista”, “coerente” e pure “depresso”. O tutto,al contrario, che il suo gesto è Anomico, per dirla alla Durkheim, o frutto di un calcolo sbagliato: non c’erano sufficienti media è la benzina aveva troppi ottani! Si sprecheranno esegesi psico-sociologiche, da sbattersi in faccia fra i professionisti della politica per attribuirsi, secondo le convenienze, colpe, responsabilità e meriti dell’attuale situazione. Ma un fiore ed un fondo di solidarietà potrebbero significare molto, ma molto di più di una prima pagina di sdegno…..

Enrico Maria Troisi

http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/08/19/news/si_diede_fuoco_davanti_a_montecitorio_e_morto_il_disoccupato_ustionato-41170172/

Risposta a Salvatore Spoto:

Caro Salvatore Spoto, la scelta concernente l’immagine che accompagna il breve articolo di Enrico Maria Troisi riguarda solo la redazione di questo blog, quindi me personalmente e inequivocabilmente (…). Tengo a sottolineare che tale immagine è apparsa – molto prima di questo articolo del Prof. Troisi (psichiatra e criminologo, che ci onora della sua presenza nella redazione) – su tutti i media internazionali, e ha fatto il giro della rete, evidentemente non essendo sottoposta ad alcuna censura o a qualsivoglia critica del genere che lei menziona – “paura ed emotività”. Ritengo che siano ben altre le immagini che vadano sottoposte a tale critica, e non questa che – a prescindere dall’uso che l’informazione ne ha fatto, istituzionalizzandola quale “documento” al pari delle stesse che, in altra epoca, e che lei ricorderà perfettamente anche meglio di me, data la sua professionalità che ben conosco, documentarono per esempio la tragica storia di Jan Palach. Quando dico “ben altre”, mi riferisco esattamente a ultimissime immagini che Il Messaggero, per il quale mi risulta lei ha collaborato per anni e anni, ha pubblicato, e che risultano essere solo il frutto di una tecnica di comunicazione da tempo in uso che degrada la professionalità che – giustamente – si vorrebbe salvaguardare, delle testate e dei giornalisti. Purtroppo non sempre le cose vanno così, e – per quanto mi riguarda – preferisco il valore documentale, anche se drammatico quanto la realtà lo è, e che quindi afferisce eticamente alla stessa, e non alla spettacolarizzazione gratuita e volgare, intellettualmente parlando, dei fatti. Per chi non se ne rende conto abbastanza, da smuovere nel suo proprio piccolo le coscienze, i fatti recentissimi che hanno provocato una serie di suicidi in Italia vanno riportati così come sono, a mio parere, e chi vuole vederci una spettacolarizzazione morbosa farebbe bene a valutare quelle “ben altre” di cui parlo, e che pubblico qui di seguito, allo scopo di documentare quanto affermo, al solo titolo di esempio. Se i “colleghi” di cui lei parla nei due commenti sono interessati sia agli aspetti deontologici che a quelli minimal retorici, e per caso fanno parte anch’essi de Il Messaggero, allora farebbero buon uso del loro tempo a interrogarsi su cosa spinge Il Messaggero a pubblicare queste foto, in un clima tanto drammatico e spietato che stiamo vivendo, dove anche la sola tentazione a pensare di vendere qualche copia in più, usando questi mezzi, diventa esecrabile, e – conoscendola personalmente e stimandola al punto di averla invitata a far parte d questa redazione, come da lei espresso in un commento al post STOP IT, quindi rispondendo a un suo desiderio liberamente espresso in pubblico – sarei molto curioso di conoscere il suo illuminato e puntuale pensiero nel merito. La redazione ha già provveduto a rimuovere il banner con la sua foro, egregio Salvatore Spoto. Evidentemente, la diversità di vedute, tra me e lei, è tale che questa azione risulta gradita ad entrambi, e nonsolo a lei. Per il resto, la lascio alla risposta del Prof. Troisi, che non voglio – in questo momento – surrogare né sostituire. Per ciò che lei intravede come un vero e proprio attacco alla categoria di cui fa parte. Mi esprimerò senz’altro dopo Enrico Maria Troisi, avendo io personalmente deciso di pubblicare il suo articolo. E non ritenendolo affatto un attacco alla categoria dei giornalisti, ma una puntuale precisazione di quanto viene sistemicamente occultato da molta (non tutta, ovviamente) “stampa”, come una volta si usava dire, ma che oggi verrebbe definita meglio, là e dove ce ne sia il bisogno, “protesi dei partiti politici”… intelligenti pauca. Intanto la saluto e la ringrazio dei suoi commenti.

Salvatore Maresca Serra

15 comments

  1. è con grande amarezza che ho letto l’articolo….. ma mi sento proprio impotente di fronte a questi fatti tragici, che in fondo si uniscono a tutti quei bambini (e adulti)morti nel mondo per fame o per malattia,per guerra….nel mio piccolo, ma piccolissimo micromondo cerco di operare sempre per la pace ciao e grazie della segnalazione.

  2. Sono un giornalista professionista da 40 anni, prima di scrivere una sola parola, il mio dovere e quello dei miei colleghi, è sempre stati quello di documentarci. Egregio, signor Enrico Maria Troisi, come fa a scrivere “calcolata (?) indifferenza dei media”? E’ in grado di dimostrarlo? Oppure è la solita manciata di cacca gratuitamente sparsa su gente che ha avuto i suoi morti ammazzati? Come si permette di scrivere certe cose? E di pubblicare certe immagini? Non lo sa che è vietato dalla legge pubblicare immagini che possono avere suscitare paura ed emotività? Non è un problema di denuncia per lei e il direttore responsabile della testata, se la Polizia postale dovesse scoprire questa immagine, ma una questione di correttezza dell’informazione. Mi faccia il piacere, si vada a leggere i giornali, e allora saprà come hanno trattao la questione, altro che “indifferenza”. Leggere prima di scrivere.

  3. Mi scuso per i refusi ma il commento è casualmente partito prima di essere riletto. Con l’occasione, comunico che mi hanno già chiamato alcuni colleghi (sulla pagina compare una mia foto che, visto le circostanze, invito sollecitamente a rimuovere) minacciando un ricorso all’Ordine perchè non è giusto buttare fango su una categoria, quella dei giornalisti, che hanno avuto i loro morti.

  4. Caro Salvatore Spoto, la scelta concernente l’immagine che accompagna il breve articolo di Enrico Maria Troisi riguarda solo la redazione di questo blog, quindi me personalmente e inequivocabilmente (…). Tengo a sottolineare che tale immagine è apparsa – molto prima di questo articolo del Prof. Troisi (psichiatra e criminologo, che ci onora della sua presenza nella redazione) – su tutti i media internazionali, e ha fatto il giro della rete, evidentemente non essendo sottoposta ad alcuna censura o a qualsivoglia critica del genere che lei menziona – “paura ed emotività”. Ritengo che siano ben altre le immagini che vadano sottoposte a tale critica, e non questa che – a prescindere dall’uso che l’informazione ne ha fatto, istituzionalizzandola quale “documento” al pari delle stesse che, in altra epoca, e che lei ricorderà perfettamente anche meglio di me, data la sua professionalità che ben conosco, documentarono per esempio la tragica storia di Jan Palach. Quando dico “ben altre”, mi riferisco esattamente a ultimissime immagini che Il Messaggero, per il quale mi risulta lei ha collaborato per anni e anni, ha pubblicato, e che risultano essere solo il frutto di una tecnica di comunicazione da tempo in uso che degrada la professionalità che – giustamente – si vorrebbe salvaguardare, delle testate e dei giornalisti. Purtroppo non sempre le cose vanno così, e – per quanto mi riguarda – preferisco il valore documentale, anche se drammatico quanto la realtà lo è, e che quindi afferisce eticamente alla stessa, e non alla spettacolarizzazione gratuita e volgare, intellettualmente parlando, dei fatti. Per chi non se ne rende conto abbastanza, da smuovere nel suo proprio piccolo le coscienze, i fatti recentissimi che hanno provocato una serie di suicidi in Italia vanno riportati così come sono, a mio parere, e chi vuole vederci una spettacolarizzazione morbosa farebbe bene a valutare quelle “ben altre” di cui parlo, e che pubblico qui di seguito, allo scopo di documentare quanto affermo, al solo titolo di esempio. Se i “colleghi” di cui lei parla nei due commenti sono interessati sia agli aspetti deontologici che a quelli minimal retorici, e per caso fanno parte anch’essi de Il Messaggero, allora farebbero buon uso del loro tempo a interrogarsi su cosa spinge Il Messaggero a pubblicare queste foto, in un clima tanto drammatico e spietato che stiamo vivendo, dove anche la sola tentazione a pensare di vendere qualche copia in più, usando questi mezzi, diventa esecrabile, e – conoscendola personalmente e stimandola al punto di averla invitata a far parte d questa redazione, come da lei espresso in un commento al post STOP IT, quindi rispondendo a un suo desiderio liberamente espresso in pubblico – sarei molto curioso di conoscere il suo illuminato e puntuale pensiero nel merito. La redazione ha già provveduto a rimuovere il banner con la sua foro, egregio Salvatore Spoto. Evidentemente, la diversità di vedute, tra me e lei, è tale che questa azione risulta gradita ad entrambi, e nonsolo a lei. Per il resto, la lascio alla risposta del Prof. Troisi, che non voglio – in questo momento – surrogare né sostituire. Per ciò che lei intravede come un vero e proprio attacco alla categoria di cui fa parte. Mi esprimerò senz’altro dopo Enrico Maria Troisi, avendo io personalmente deciso di pubblicare il suo articolo. E non ritenendolo affatto un attacco alla categoria dei giornalisti, ma una puntuale precisazione di quanto viene sistemicamente occultato da molta (non tutta, ovviamente) “stampa”, come una volta si usava dire, ma che oggi verrebbe definita meglio, là e dove ce ne sia il bisogno, “protesi dei partiti politici”… intelligenti pauca. Intanto la saluto e la ringrazio dei suoi commenti.

    Salvatore Maresca Serra

    1. Certe affermazioni, di uno che si definisce giornalista, sono veramente ridicole. Questa immagine la conosco benissimo,è la stessa immagine che ha invaso – giustamente- la rete dai giorni successivi alla tragica vicenda del povero Angelo di Carlo. E che Lei, caro Maestro Serra,ha fatto benissimo a pubbloicare,concordo pienamente!!! Così per le immagini del Messaggero:una vera vergogna!!! Tra tutti i quotidiani, quello che meno amo. Enrico mentana è stato il primo ad accusare la stampa di aver prestato scarsa e scorretta (quella sì) attenzione alla vicenda,che non si può considerare un semplice suicidio. Complimenti al professore Troisi che ha colto nel segno, e chi lo ha pubblicato.
      Marcella Fanti

  5. La varietà delle opinioni deve essere fonte di ricchezza, qualsiasi sia il mezzo attraverso il quale viene espressa, e perciò deve essere sempre tutelata; spero che questo “scontro dialettico” che si è andato a creare possa contribuire alla nascita di un’opinione motivata in chi legge l’articolo di Enrico Maria Troisi

  6. Desidero dimostrare la mia solidarieta’ ed affetto ad Angelo di Carlo,che ritengo vittima di questa nostra societa’ egoista sbandata,alla deriva, che ha perso ogni contatto con l’amore!

  7. Ammetto, non senza una punta di vergogna, di non essere a conoscenza di come e quanto i giornali abbiano trattato la dolorosa vicenda di Di Carlo. Devo dire però, che al netto delle polemiche, l’articolo di Enrico Maria Troisi ha colto una dimensione interumana, con resonance, toucher, sanando un pò il noli me tangere di molti. Nell’attimo stesso in cui ho letto l’articolo, è scattato un solo pensiero ed una sola emozione, compassione, comprensione per la tragedia solo apparentemente privata di di Carlo. Tutto il resto, fotografia, media ecc, hanno avuto scarso diritto di accesso. La mia non vuole essere la posizione di un laudator temporis acti, è solo l’opinione di chi ha colto un vissuto tragico, in cui si è avuto il più violento passaggio dal dolore morale a quello fisico.

    1. Saluto Salvatore e rispondo al Dr. Spoto, ringraziandolo per l’attenzione, immeritata. E’ possibile che il convinvincimento che l’affaire Di Carlo abbia avuto scarso rilievo sugli organi di informazione, sia il frutto del concorrere della mia distrazione (proverbiale, per chi mi conosce) ma anche, certamente in misura minore, di una scelta editoriale diffusa e condivisa, “calcolata” per evitare di innescare ed alimentare la Wertherizzazione del momento storico, straordinariamente drammatico, che stiamo attraversando (questo è il senso). “Calcolata” non “colpevole”, Dr. Spoto! Non aggiungo altro per il rischio di prendere la deriva del maître à penser de “noantri” e di scivolare, blaterando, su di una bucciona qualunquista. L’estrazione e l’expertise di Spoto potrebbero però aiutarmi/ci a comprendere alcuni meccanismi dell’informazione, trasformando un’occasione di scontro (?) in un’opportunità: cioè, perchè un caso come il dramma probabilmente privato di Di Carlo non merita un approfondimento, un’analisi psico-sociologica, un accostamento ad episodi analoghi e di pari drammaticità che si sono verificati ad esempio ai tempi dell’epopea di Equitalia (ere geologiche giornalistiche fa)? Esiste una Real Politik che suggerisce o talora impone scelte editoriali così nette? Tale preoccupazione è stata raccolta ed espressa successivamente da Mentana, nel “promo” del tg di prima serata di La7, dopo che il dubbio era venuto ad uno come me, fra tanti, la mattina presto dello stesso giorno. Non sono il solo ad avere avuto la sensazione che l’episodio sia stato trascurato e Mentana s’è cosparso il capo di cenere dando voce ad una ineffabile, estesa, percezione. Ma perchè? Io, che ho le idee confuse, Le chiedo allora di spiegare il perchè vige la percezione che un evento come quello che ha avuto come protagonista il povero Di Carlo possa o, addirittura, debba, non interessare ad alcuno. Mi dirà che mi sono perso accorati fondi di cronaca e spericolati approfondimenti. E’ possibile. Come è possibile che le testate facciano ben poca “doxa” attraverso l’informazione, visto il rapporto fra tiratura e copie vendute ; ma in questo caso, i TG e stranamente neanche “la rete” hanno generato la necessaria catena di trasmissione. Forse c’era da riflettere più su questo dato…Ma il seguito di questa vicenda, allora, dov’è finito? C’è un seguito? Sono sinceramente curioso di sapere quale è l’opinione, o le opinioni, in ordine ad un fatto/evento di portata umana e probabilmente sociale, ma soprattutto simbolica, significativa, quale l’autoferimento e la morte di un disperato, figliastro Dickensiano senza arte nè parte di un tempo ignobile, colpevole di non essere un monaco e nemmeno tibetano, di non lavorare per la Thyssen, nè di essere oggetto di bombardamento esattoriale, mac he forse verrà inserito nelle statistiche 2012 (i dati che suggeriscono che i suicidi per ragioni economiche in Italia, 189, si riferiscono al 2009, mi pare; fonte Eures); e dunque mi chiedo se sono le opinioni (“le teorie” nella versione di Charcot) che consentono ai fatti di esistere o, al contrario, il non parlarne, l’assenza o l’appiattimento della doxa, ne estingue irrimediabilmente il ricordo e ne annulla l’impatto. Di Carlo è, era, uno di noi. Quelli veri! Non quelli identificabili dal ruolo che ricoprono in una compagine sindacale o partitica, o che navigano nella melina da rotocalco. Di Carlo è, era, un nessuno a pieno titolo, un nessuno a tempo pieno, non un precario della nullità, non un icona, non, o non ancora, un simbolo. E di Di Carlo, questo tempo ne ha prodotti una serie interminabile, 0.5 punti di P.I.L. in più e di F.I.L. (Felicità Interna Lorda) in meno.

  8. …”non s’è mai ucciso fin quando non è morto!”…rileggevo ed avevo l’immagine della vita umana che si degrada, in cui non vi è il morto ma, solo un cadavere, quasi che non ci sia più il tempo nè la tonalità per “vivere” la morte. Questo è ciò che rimpiango, quel tempo in cui non vi era disprezzo per la vita, che finisce per colpire anche la morte nel suo significato primitivo.

  9. Ho pubblicato l’articolo di Enrico perché ne condivido il significato, così come il mio pensiero era già precedentemente simmetrico a quello di un altro Enrico, Enrico Mentana, che nel caso Angelo Di Carlo sostiene le stesse cose che afferma Troisi, e che avrei potuto affermare io stesso, e allo stesso modo.
    Il mio ruolo però è – in questo caso – quello di assumere la responsabilità etico-giurica delle cose pubblicate qui, solo previo mia diretta volontà, quindi difenderne i contenuti; assumere inoltre la responsabilità delle immagini che correlano gli articoli. Spesso, come adesso, si tratta di foto scelte da me.
    L’intervento di S. Spoto meritava una risposta chiara e inequivocabile.
    Distrarre l’attenzione dalla tragedia Di Carlo, rivendicare una totale integrità deontologico-etica di tutta la categoria dei giornalisti, tacciare una fotografia di passibile di denuncia penale, le ritengo tutte cose fuori luogo. Il contesto del mio blog è tale che solo chi mi è amico può collaborare con me, non siamo certo nella redazione di una testata giornalistica, dove vigono ben altre regole, e finanziamenti del pubblico presi perché organi politici. Questo ‘incidente’ mi fa molto sorridere. E attenua il pressing del caldo di oggi, ma non mi distrae certo dal tema Di Carlo. Io sono qui a rispondere a chichesia di ciò (e di chi) che viene qui pubblicato. Ma non amo le sproporzioni: sono grottesche.
    Grazie dei vostri commenti. Invito Enrico a rispondere.

  10. Comprendo e condivido le fiamme che ardono dietro uno scritto d’opinione come anche quelle che bruciano la sensibilità di chi si e’ sentito parte in causa, ma per nulla al mondo quelle alle quali un uomo si e’ dato, tra l’indubbia indifferenza precedente al fatto; il vero combustibile purtroppo ancora a buon mercato. 

  11. Il gesto di Angelo Di Carlo non è un suicidio disperato e basta. Non un ‘gesto muto’, appunto. Nel gesto Di Carlo vi è la sintesi e la richiesta estrema di sana giustizia – quindi di attenzione non superficiale – a tutti, informazione e politica in primis, come in uno stato responsabile democratico dovrebbe essere. Va quindi letto come simbolo, sacrificio, indicazione ipertestuale per aprire nuovi cammini nell’interrogarsi sulla disperazione e l’ingiustizia sociale verso i diseredati dalla politica e dalla società (nessuno escluso). L’elenco dei recenti suicidi è molto lungo, giungere ad un acme espressivo-simbolico era certamente nelle intenzioni del Di Carlo: un uomo attento al sociale e sempre in prima linea, nel suo piccolo, per le battaglie di civiltà. Il suo gesto appare come un dire basta, basta alle ingiustizie, ma basta anche ai suicidi. Bravo chi lo ha compreso. Pessimo chi non l’ha evidenziato. E, in realtà, è di questo precipuamente e responsabilmente che stiamo trattando. Distinguendo certamente tra informazione ed opinione: d’altronde, una sana informazione – ribadisco – ha per finalità il formarsi spontaneo e non condizionato della libera opinione sui fatti. Nell’articolo di Enrico Maria Troisi troviamo appunto l’opinione libera e sacrosanta di un cittadino, che rispecchia lo spirito del mio blog, quindi il mio. Ed è anche evidente che nelle parole di Troisi, ciò che si mette in luce è la richiesta non di informazione, ch’è stata già fatta da tutti, ma l’approfondimento del gesto: cosa che – certamente – non può fare un semplice cronista, che si limita a riportare i fatti com’è giusto che sia. Privata della partecipazione dei grandi (e ce ne sono) giornalisti, o editorialisti, o intellettuali che collaborano alle testate, ma anche dei normali cittadini, in questo caso sulla rete, l’informazione da sola non può giungere all’analisi del fatto, nelle sua valenze sociali dalle mille sfaccettature, che un gesto tale ha pieno diritto di esigere e avere. Chiunque si prodighi per questo scopo merita ogni stima e attenzione, dovunque ciò venga fatto. L’epifenomeno è un segno: non va solo verso la cronaca, bensì verso il linguaggio, la conoscenza dietro la notizia, la semiotica segnica è il suo terreno d’indagine e di fruizione. Questo è il ruolo di chi ha la responsabilità di uno stato, dal grande giornalismo all’espressione intellettuale, dalla politica all’arte, dal sentimento popolare a quello religioso… eccetera. In questa consapevolezza identitaria, già qualcosa è avvenuto e sta avvenendo, ma non basta mai, e non è mai sufficiente. Nel rigido e asettico assetto del sistema italiano, di non soluzione di continuità tra le principali testate, organi politici dei partiti, quindi gruppi editoriali che fanno il bello e il cattivo tempo azionando direttive agli stessi direttori di quotidiani (proprio come avvenne tra Berlusconi e Montanelli all’epoca dei fatti, e a cui Indro Montanelli diede una svolta esemplificativa fondando poi La Voce), e il mondo della politica, vi è una spina sociale purulenta che tenta di ridimensionare la gravità dei fatti, riproporzionandola sulla base della propaganda dei politici, per consolidare opportunismi di facciata non allarmanti, mentre in realtà la realtà non la si conosce mai fino in fondo: la realtà delle vite che sono andate perse, di coloro che hanno scelto l’estremo, dalla vecchietta che si è vista decurtare ex abrupto trecento euro della pensione del marito defunto anni addietro (reversibilità), e che si è suicidata gettandosi dal balcone, ai continui, quotidiani, possiamo ormai affermare, suicidi in tutta Italia, fino al gesto-simbolo di Angelo Di Carlo davanti a Montecitorio. È lapalissiano che la politica non trarrebbe né immagine (già estrememente compromessa nella sua credibilità di equità sociale) né vantaggio per il futuro azionarsi progressivo della spending review e delle tasse Imu, Iva, eccetera da approfondimenti seri e argomentati delle vicende suicidiarie. Conoscere nel dettaglio le vite che stanno dietro a queste morti non conviene al sistema oligarchigo, che svetta dal governo tecnico e dal sostegno che ABC gli sta tributando in nome della responsabilità politica. Quindi non i semplici cronisti sono in discussione, bensì gli spazi che le principali testate devono dare a personalità di varie discipline, il cui ruolo istituzionale è l’opinione o semmai il giudizio della gestione della cosa pubblica e della redistribuzione della ricchezza. Né gli aspetti psichiatrici, come nel caso Enrico Maria Troisi (che invito ad approfondire ancora sul blog alla luce delle sue conoscenze, anche criminologiche, e così Santi Caridi, brillante criminologa che collabora con me e col blog, e in primis Enrichetta Fotino, di cui speriamo un articolo nel merito da pubblicare, e così Leonardo Coen, che ha accettato con gioia di collaborare con la redazione del mio blog, i cui meriti giornalistici sono noti a tutti storicamente), e di grande giornalismo devono sottrarsi a questo appuntamento con la storia contemporanea italiana. Una storia che deve poter accedere alle coscienze di tutti, dovunque sia possibile portarla, senza nessun limite dettato da squallide rivendicazioni di competenza da parte di nessuno. Non è possibile non esprimersi, in questo caso. Quindi non raccogliere il segno di Angelo Di Carlo. Un linguaggio espresso nell’atto del fuoco, eppure un fuoco che vuole spegnere un ben altro incendio, che tenta di distruggere consapevolezza, identità sociale, e indignazione, quindi azione del cittadino. E sappiamo bene chi sono questi ultimi piromani. Enrico Maria Troisi ha aperto la partita sul blog: adesso tocca a chiunque arricchirla di interventi che raccolgano la sfida etico-intellettuale di Angelo Di Carlo. Che noi non lasceremo certo inascoltata. Il blog è aperto a tutti, tutti i cittadini che vogliano pubblicare la loro consapevolezza della tragedia in cui, assieme ad altri cittadini di altri stati, versiamo.

    1. Complimenti vivissimi per l’analisi, carissimo Salvatore! Ti leggo sempre con grande attenzione, e non perdo uno solo dei tuoi pensieri. Delle affermazioni di questo giornalista che minaccia dico solo: si preoccupi piuttosto della tragedia dei morti suicidi, e di come la stampa italiana ha sottodimensionato il tutto,d’accordo coi politici. Grazie a Enrico Maria Troisi!

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