Alle prime luci della sera, quando smetti l’abito indossato di giorno e cerchi refrigerio dal caldo, improvvisamente ricordi il canto delle cicale, che non hanno più voglia di cantare, in quel loro assolo tipico a spezzare silenzi notturni scivolati su bicchieri rotti che sanno graffiare. Quando il sapore del vino ghiacciato attraversa gole assetate che non smettono di dissetarsi. Un’arsura le ferisce, e quel bicchiere tenuto stancamente tra le dita serve solo ad attirare sguardi ansiosi di bollicine. Nella stanza dalle finestre aperte appaiono tatuaggi di vita, che neppure un foglio bianco saprebbe macchiare del giusto inchiostro. C’è il pianista, che cerca accordi che non siano i soliti, cerca l’oltre, il pezzo che supera le barriere, e vede Mozart che sorride. Gli gira intorno, accarezzando il pianoforte a coda, sfiorandone i tasti in bianco e nero d’avorio, un tocco di velluto su note irripetibili. Il pianista che sognante vola, immaginando oceani e isole dove trovare esausto il naturale approdo.
C’è il trombettista che quasi discute con Miles in quel suo don’t play what’s there, play what’s not there, inseguito da armonie che si fondono con la più struggente malinconia. E’ lucida d’ottone quella tromba, non più ascensore verso il patibolo, ma momento di gloria inseguito e raggiunto in quella ricerca di colori dell’anima, che solo un pentagramma baciato dalla sorte può regalare.
Il fuoco dentro, l’accensione di fiati a cui dare corpo per liberare l’immenso. C’è il batterista con le sue bacchette, capace di addolcire un suono di fronte al quale sa mettersi a nudo. Non esiste nulla intorno, solo quel suono, quel parossismo senza eguali, un annullarsi completamente fino allo sfinimento, in quel fascio di nervi e muscoli tesi come corde. Assomiglia ad una statua dell’antica Grecia, tanta è la bellezza che emana. Momento in cui persino le stelle se avessero un cappello se lo toglierebbero in segno di ossequio.
C’è il chitarrista con le sue mani che scivolano beate, sembrano intrecci di ricami, pennellate d’autore. Scivolano creando l’armonia, la catarsi e l’orecchio si adegua non potendo fare a meno di ascoltarlo.
Serenata di una notte di mezza estate, in attesa del solstizio in cui fare festa, tra danze e la sensazione fresca dell’acqua sul viso. Gioiosità di figure che girano in tondo in un unico abbraccio. Quando un gioco, un ballo, persino una parola accompagnata da musica aiutano a dimenticare.
La musica che sa giocare, ammaliare, sedurre con il suo ritmo da gustare un po’ alla volta come quel bicchiere di vino, sorseggiando quella cascata di ghiaccio e note senza provare freddo, ma uno strano fuoco dentro. Alle prime luci della sera può accadere che diversi strumenti diventino colonna sonora di un sogno che sa di cinema, di fotografia, di scrittura. Che non si abbandona in un angolo, ma ha bisogno di un palco, dell’applauso, come sangue che scorre dentro. Guardando negli occhi chi lo sa ascoltare, innamorandosene. Fuori il colore rosa del cielo rammenta che il sole è andato a dormire ad occidente, la musica invece resta sveglia, c’è voglia di lei stasera. Nessuno potrà fermarla.
Angela Rita Iolli