Napolitano

Marco Travaglio sulla trattativa Stato-Mafia e le intercettazioni di Napolitano (19Lug2012)

Marco Travaglio sulla trattativa Stato-Mafia e le intercettazioni di Napolitano (19 Luglio 2012)

 

Mafia: Di Pietro, da Pm accuserei Napolitano


(ASCA) – Roma, 21 lug – ”Se fossi ancora pubblico ministero farei una requisitoria chiedendo la condanna politica del presidente della Repubblica sulla base di una prova documentale, la prova principe. Da parte di Giorgio Napolitano c’e’ una confessione extragiudiziale di reato politico”.

Lo afferma il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, nel corso di un’intervista a Il Fatto Quotidiano.

”Prima solleva il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, perche’ le intercettazioni indirette delle sue conversazioni con Nicola Mancino comporterebbero una ‘lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica’. Poi -sostiene Di Pietro-, in occasione del ventennale della strage di via D’Amelio, manda un messaggio ai familiari delle vittime in cui dichiara solennemente che ‘non c’e’ alcuna ragion di Stato che possa giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilita”.

Delle due l’una. E poi che manchi una norma che regoli le intercettazioni indirette del Capo dello Stato e’ all’ordine del giorno fin dal 1997, quando il ministro della Giustizia Flick sollevo’ la questione per un caso analogo che riguardava l’allora presidente Scalfaro. Napolitano ha avuto sette anni di tempo per sollecitare il Parlamento a intervenire. Non solo, poteva sollevare conflitto d’attribuzione contro la Procura di Perugia che, a quanto pare, lo ha indirettamente intercettato al telefono con Bertolaso. Non lo ha fatto, salvo cambiare idea con Palermo”.

”A questo punto siamo autorizzati a sospettare -dice Di Pietro- che quelle intercettazioni, che fanno cosi’ paura, contengano giudizi pesanti sui pubblici ministeri di Palermo.

In un paese normale, se non fosse Re Giorgio, ci sarebbe stata, non dico una rivolta popolare, ma almeno una rivolta del mondo dell’informazione. E invece sono tutti, o quasi, appecoronati e conniventi con il sistema di potere che sostiene la grande coalizione del governo Monti”.

«Conflitto fra poteri dello Stato» Napolitano contro la procura di Palermo

Il presidente della Repubblica firma il decreto per la mancata distruzione delle intercettazioni delle telefonate con Mancino

Giorgio Napolitano contro i giudici di Palermo. Il presidente della Repubblica ha infatti firmato il decreto con cui affida all’Avvocatura dello Stato l’incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il Quirinale, in altri termini, va all’attacco della procura di Palermo, in relazione alla vicenda delle telefonate intercettate tra il consigliere del presidente per gli Affari giuridici Loris D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino a proposito della presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni 90. Durante l’attività d’intercettazione ci sarebbero state anche un paio di telefonate fra Mancino e Napolitano, telefonate che avrebbero dovuto essere distrutte, provvedimento che il procuratore del capoluogo siciliano Francesco Messineo non ha ancora disposto. A giudicare sul conflitto sarà la Corte costituzionale.
IL COMUNICATO – A spiegare le ragioni della decisione di Napolitano è lo stesso comunicato stampa in cui il Quirinale ne dà notizia: «Alla determinazione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è pervenuto ritenendo dovere del Presidente della Repubblica, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce».

IL DECRETO – Il dispositivo con cui Napolitano dà mandato all’avvocatura dello Stato di sollevare il conflitto di attribuzione è stato pubblicato sul sito del Quirinale. È evidente che l’iniziativa del Colle punta ad evitare che le intercettazioni che coinvolgono il capo dello Stato, ancorché ritenute non rilevanti per i pm, finiscano agli atti del procedimento a disposizione delle parti. «La Procura, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti». Il che sarebbe, a giudizio del Colle, una violazione delle prerogative presidenziali: «Le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione».

M. Br.

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Trattativa Stato-mafia: indifendibile Quirinale – Sonia Alfano

E’ durata ancora per tutto il fine settimana la difesa a oltranza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, neanche fosse per legge immune alle critiche. In uno Stato di diritto io, anche da cittadina, ho persino il dovere di biasimare chi all’interno delle Istituzioni si renda protagonista di condotte disdicevoli. Non si tratta di polemizzare o di attaccare politicamente il Presidente della Repubblica; non si tratta di strumentalizzare. Ritengo semplicemente che sia indispensabile avere il buon senso di riconoscere eventuali illegittime ingerenze da parte di alte cariche dello Stato sulla giustizia, anche a rischio di risultare impopolari. E’ proprio questo il caso. Altro che “insinuazioni” e “sospetti”. Altro che complotti ai danni del Capo dello Stato (e poi, non è forse vero che nel 1991 l’asse Mancino-Napolitano attaccò violentemente Cossiga, chiedendo l’impeachment?). Qui di complotto ce n’è soltanto uno: quello contro la verità!

Le conversazioni intercorse tra il consigliere D’Ambrosio e l’ex vicepresidente del Csm Mancino, pubblicate integralmente dal Fatto Quotidiano, rivelano in maniera inequivocabile la natura intromissiva dell’intenzione di intervento da parte del Quirinale in procedimenti penali delicatissimi, che potrebbero svelare verità nascoste da un ventennio e più. Viene da chiedersi: da quando la Presidenza della Repubblica, per mezzo dei suoi consiglieri, ha il mandato di dispensare suggerimenti e strategie “difensive” ai cittadini chiamati a rispondere alle domande dei magistrati? Ancora nessuno ha inteso rispondere a questa domanda.

Napolitano, per la lettera inviata al procuratore generale della Cassazione, si è “difeso” utilizzando la scusa, peraltro inammissibile, della richiesta di “coordinamento” tra le procure. Forse non tutti sanno che non è prerogativa del Presidente della Repubblica coordinare le procure, né è compito del pg della Cassazione. Napolitano e il suo staff lo sanno: per questo cercano di coinvolgere il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso in questa scabrosissima vicenda.

Il Presidente della Repubblica è semplicemente indifendibile, anche perché dalle intercettazioni si evince la sua vera intenzione: evitare un confronto “pericoloso” a un testimone (Nicola Mancino). Napolitano ritiene strumentale la disapprovazione nei confronti di chi progetta un intervento sul collegio di un tribunale per impedire il confronto tra due testi? Per quale motivo il Quirinale dovrebbe preoccuparsi di eventuali contrasti tra le testimonianze di due testi chiamati a rispondere nell’ambito di un procedimento penale? Non è forse questo un modo per intralciare la giustizia e impedire la ricerca della verità?

Se veramente il Presidente della Repubblica avesse chiesto al suo consigliere giuridico di suggerire a Mancino un confronto privato con Martelli in vista di quello di fronte ai magistrati, infatti, ci troveremmo di fronte ad un vulnus istituzionale senza precedenti. Come va interpretata, secondo il Quirinale, quell’intercettazione? E come vanno interpretate le parole sul procuratore capo di Palermo Francesco Messineo? D’Ambrosio, in una conversazione con il solito Mancino, dice addirittura “Una cosa è più facile parlare con il pm, perché… chiedere… io quello che si può parlare è con Grasso, per vedere se Grasso dice… eh… di evitare… cioè questa è l’unica cosa che vedo perché Messineo, credo che non dirò mai… deciderà Di Matteo… dirà così no”.

Già, deciderà Di Matteo. Ecco. Il problema, per tutte le personalità pubbliche, politiche o istituzionali coinvolte in quest’inchiesta sulle trattative Stato-mafia, è proprio lui: il sostituto procuratore Di Matteo, reo persino di scrivere libri. Intransigente, questo Pubblico Ministero. Troppo. Ecco perché (non so se lo avete notato) questo magistrato risulta essere sempre più isolato, emarginato. In procura e fuori dalla procura. L’ho detto qualche giorno fa e lo ribadisco oggi: sembra di rivivere il 1992.

Se a “sbagliare” è stato Loris D’Ambrosio, il quale comunque rivela a Mancino che “il Presidente se l’è presa a cuore”, l’Italia si aspetta da parte di Napolitano un gesto forte: prenda le distanze dal suo consigliere e smentisca le affermazioni dalle quali traspare un atteggiamento poco commendevole del Capo dello Stato, intento a palesare, per mezzo proprio di

D’Ambrosio, la ferma volontà di intervenire in qualche modo a “difesa” di Mancino.

Napolitano condivide l’idea di D’Ambrosio secondo la quale i magistrati di Palermo tengono aperte delle “voragini” per infilarci dentro tutto quello che può loro “fare comodo”? Napolitano condivide la risposta di D’Ambrosio alla richiesta di Mancino di incontrare il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso in gran segreto?

Io credo che il Presidente Pertini, alle pressanti richieste di Mancino avrebbe risposto con una pernacchia. Al limite, se proprio avesse voluto dare un consiglio, allora gli avrebbe detto di recarsi dai magistrati e di raccontare tutta la verità di cui era in possesso. Ma non è più il tempo dei confronti. Continuare sarebbe offensivo per la memoria di Sandro Pertini.

LA POLITICA DEI PASSI INDIETRO: ROMA FARABUTTA

Le dimissioni sono sempre un atto eroico. Ammantato della più sofisticata ipocrisia ad uso e consumo del popolo, della base, dei fedelissimi, dei media, quando un leader le manovra come extrema ratio, viene fatto di chiedersi fino a che punto è sporco e quanto invece è pulito: vittima e non carnefice, idealista e puro e non colpevole, ingenuo e malato (qualche basista parla di “circonvenzione d’incapace”), quasi sprovveduto, in buona fede di fronte alla sua sciagura, e al complotto e ai complottisti, che – come da sempre accade nella storia – probabilmente si annidano nella sua stessa cerchia, nel suo raggio di fiducia: dei giuda che hanno agito ignobilmente, spinti solo dalla brama invidiosa di prenderne il posto, di usurparne il regno, di deturparne la carriera, l’immagine, la dignità (…). Insomma, Bossi con le sue dimissioni dovrebbe fare pena, non rabbia. Questa è la strategia della comunicazione in uso. Padre e figlio Bossi si dimettono e Belpietro – su Libero – scrive che «solo la Lega poteva fare piazza pulita della sua dirigenza in una settimana, gli altri non ci sarebbero mai riusciti»: non sono dei Mennea come loro. Il Trota, «era stanco di stare in regione» – dice il padre -, e «ho dato il buon esempio», afferma il figlio. Un buon esempio che svetta dal video-sputtanamento del suo bankomat-autista-bodyguard, inequivocabile. Verrebbe da dire “un  ottimo esempio”, fatto di diplomi e lauree, suoi e della badante-vicepresidente al senato, Rosy Mauro, comprati, coi soldi degli italiani, all’estero, tanto per consumare questi falsi non su territorio italiano (per evitare altri sputtanamenti). Cultura, professionalità e formazione, questi ragazzi se le comprano “altrove”. Insomma, dopo un ventennio secessionista-poi-federalista contro Roma ladrona, cominciato negli squallidi bar della provincia lombardo-veneta, tra un cordiale e un ce l’ho duro, e dopo innaffiamenti del Po sulla testa dei barbari sognanti nel cerchio magico del carroccio, tutto ciò ch’è stato legato sembra sciogliersi, i falli (o i cazzi) ammosciarsi, le corna degli elmi spuntarsi, i medi branditi artrosizzarsi, e tutto l’ogoglio padano ridursi a delle scope in mano a Bergamo – oggi -, in un nuovo simbolo della base leghista: la pulizia. Prima ce l’avevano duro, adesso scopano solo con le ramazze, come servette sull’aia, o sul porcile. Rispunta un governo romano (che dovrebbero odiare): il triumvirato, che – nel caso in questione – dovrebbe chiamarsi “trium-evirato”, anche se c’è una donna per lo mezzo. La domanda più grave sembra essere: ci sarà ancora Miss Padania?

Ma noi non ci facciamo abbagliare dall’eroismo delle dimissioni, così in velocità consumate, e ci interroghiamo se, in vista degli avvisi di garanzia, non siano piuttosto una strategia rozza e infantile, a cui Bossi padre ci ha ormai abituati, tra un sigaro, un farfuglio ruttante incomprensibile sulla faccia di qualche intervistatrice, e quella espressione grottesca-trionfaloide che ha esibito solo fino a pochi giorni fa. Una faccia da leader incorruttibile, da uomo-simbolo, da capopolo irreprensibile, da unico-onesto possibile, in quest’Italia allo sfascio, che non ha più motivo di essere sotto il tricolore, col quale quest’individuo affermò: «ci si può pulire il culo».

Un’altra domanda tra le più gravi è: cosa farà adesso Borghezio? Si struscerà l’ano zozzo sui verdi vessilli della Lega? Sul frondame del Po come un curato buco-lico? E Calderoli? Indosserà magliette a sorpresa con le vignette che ritraggono il Trota con i cinquanta in mano prese dall’autista? E Maroni? Sarà rincorso dai barbari in un incubo? Niente più sogni? È plausibile che anche Maroni abbia rotto i marroni? Che ci faranno coi ministeri al nord? Case gratis per islamici? Tanto pagano gli italiani.

Insomma – dicevamo -, Bossi sembra essere stato bravo a fare implodere subito lo scandalo. A disarmare le invettive della base, con le sue disarmanti e immediate dimissioni. Belpietro finge d’esserci cascato. Ma noi non abbiamo motivi per fingere altrettanto: queste dimissioni della family non ci convincono, e non ci piacciono. Aspettiamo ancora qualche giorno, finache le intercettazioni non ci soddisfano abbastanza. Non crediamo in un rigurgito d’istanza etica, proprio no, no e no. Attendiamo la magistratura, ma siamo attenti anche alle esternazioni estemporanee dell’altro giorno. È stato Maroni il giuda, il traditore? La segretaria al telefono con Belsito, dove si dicono di tutto? Questi tesorieri fanno accapponare la pelle anche a un lebbroso. Che Belsito fosse invidioso di Lusi e dei suoi tredici milioni?, che fosse in cerca anche lui di visibilità? Che sia lui il vero giuda? Mi viene in mente una ovvia battuta dell’amico Peppe Lanzetta a un Costanzo di circa vent’anni fa, a cui ero presente: «Le Leghe?… Sotto i mari!» Mi verrebbe da chiedergli: e le Margherite?, i rimborsi elettorali?… i frettolosi e compulsivi disegni raffazzonati nottetempo da tutti i partiti sul cinque per per mille, i referendum dipietristi, gli alfanogeni aggiramenti parlamentari su un eventuale decreto?: troppo lenti. No! Bisogna fare in fretta! Bisogna muoversi! Ormai è un coro. Un indecente coro che cerca un’indecente distanza dai Rutelli e dai Bossi. Il rimborso elettorale?: un vero schifo! Che orrore! Sembra di ascoltare Bettino quando, in aula di tribunale, affermò: «conosco la storia dei finanziamenti illeciti ai partiti da quando portavo i pantaloni alla zuava.»

500 milioni di rimborsi ai partiti italiani contro i 5 del Regno Unito: c’è ben poco da dire. Di quello che fregano ai cittadini ne spendono una media che oscilla tra il dieci e il quindici per cento del totale. Ma che virtuosi! Lusi in testa. Rutelli fiero. 1 milione di euro per pranzi dei dirigenti. Ma quanto magnano questi? “Strafogano”, direbbe il Lanzetta, oppure “s’ingozzano o schiattano”… E quello che avanza? Si va dagli investimenti in Tanzania alle fondazioni, non c’è che dire.

Ma la verità è che questi non schiattano mai. La politica dei passi indietro è un classico all’italiana: tutti pronti!, ma solo quando scoppiano gli scandali. Ma guarda un po’.

Quali teste ha tagliato il senatùr? Deciderà il congresso a ottobre? Nel frattempo, sembra che a saltare sia stata solo la sua testa di cazzo. Napolitano invoca maggiore controllo. E chi dovrebbe controllare i controllati? E chi controllerebbe i controllori? E quelli che li controllano?

Anche il presidente dell res-publica o forse pubica sembra si sia svegliato all’improvviso. Ma tu guarda un po’: non ne sapeva nulla. Nessuno sapeva nulla. Nessuno sa mai niente. Migliaia di persone si ritrovano – per esempio – una tessera d’iscrizione al PDL con tanto di versamenti annui, senza che ne sappiano niente? E nessuno nel partito ne sa niente. Quello c’ha la casa al Colosseo già pagata? E che cazzo ne so io! Quell’altro ha passato la casa del partito al cognatino a Montecarlo? E che minchia ne so io?!

Sembra di risentire Poggiolini che c’aveva i lingotti d’oro nei cuscini e nel divano: ma chi cazzo ce li ha messi?! La Befana! No, Babbo Natale! Ma guarda che bel regalo: è perché sono stato un bravo bambino e non ho fatto arrabbiare la mamma.

È finita un’epoca, quella dei berlusca e dei bossi. È finita anche la seconda repubblica. I salvatori della patria si chiamano Rutelli e Bossi.

Ma la cosa che ci incuriosisce di più, come dire, in un’analisi sul troglodita di carattere antropologico (si fa per dire) è, appunto, l’affermazione estemporanea: Roma farabutta. Chi mi ha tradito? Maroni sapeva dell’indagine e non mi ha detto niente! Cazzo! Anche gli altri sapevano e non mi hanno detto niente! Doppio cazzo! Roma farabutta! Ancora e ancora…

Insomma, il Boss si sfoga. Si lamenta che nessuno gli è stato complice.

Ecco, vorrei fermare il lettore su questa istantanea di questa Italia. Certo che quello che verrà dopo sarà di certo anche peggiore. Non basta fare un passo indietro, se non si costruisce mai un baratro definitivo a questi “signori”. Alla fine… tutti i passi, indietro o avanti, portano sempre a Roma. Si sa. Quello che molti non sanno ancora è che Roma è solo la capitale dei figli di puttana, da quando cominciarono i papi. Ecco, quelli sì che danno il buon esempio nei secoli. Altro che il Trota, povero figlio. Ci vorrebbe una presa della Bastiglia, o una “giornata delle tegole di Grenoble”… Ma non siamo in Francia, e poi, da quando c’è Sarkò, neanche la Francia è più la Francia. Ormai, siamo in un’Europa che fa, da sempre, solo passi indietro. Mentre noi continuiamo imperterriti a indietreggiare all’italiana. Per questo, aspettiamo la terza repubblica.

Salvatore Maresca Serra – Roma, 10.04.2012