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Sicilia, l’Ue «congela» 600 milioni

Sicilia, crollano Pil e lavoro, l’Ue «congela» 600 milioni

Stime di previsione contenute nell’ultimo report di Diste Consulting e Fondazione Curella sul 2012

PALERMO – Si va verso il crac finanziario o no? Una risposta (in negativo) per la Sicilia arriva dall’ultimo report Diste. Il dato, allarmante, è che nella regione crollano Pil e occupati mentre l’Unione Europea congela 600.000 milioni di fondi comunitari legati al ciclo di programmazione 2007-2013. Sulla base delle stime di previsione contenute nell’ultimo Report Sicilia elaborato da Diste Consulting e Fondazione Curella relative al primo semestre 2012, si delinea nell’Isola una fase recessiva piu’ grave rispetto al resto del Paese, con effetti pesanti sul mercato del lavoro. Nel corso del 2012 l’economia siciliana potrebbe registrare infatti, una flessione del prodotto interno lordo attorno al 2,4 per cento, un risultato peggiore rispetto a quanto prefigurato per l’economia italiana (-1,9 per cento).

PARTE DEBOLE DEL SISTEMA – «Una situazione complessa – afferma Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella – nella quale si intrecciano fattori economici strutturali e politici. Certamente non sarà facile uscire da questa crisi che e’ strutturale e che durerà per molti anni. La Sicilia deve trovare delle nicchie per riuscire a mantenere i livelli di reddito conseguiti fino ad adesso. Stiamo assistendo alla crisi del sistema occidentale. E noi siamo la parte debole di tale sistema». «Secondo le nostre stime – evidenzia Alessandro La Monica presidente Diste Consulting – la caduta del prodotto interno lordo provocherà nell’anno la perdita di circa 35 mila occupati. Per cui in Sicilia siamo passati dal dato record di 1 milione 502 mila e 700 unità lavorative del 2006 fino 1 milione 397 mila e 950 unità delle stime 2012, determinando una perdita nel sessennio di quasi 105 mila posti di lavoro, come cancellare dal mercato del lavoro – sottolinea Alessandro La Monica – una città delle dimensioni di Siracusa».

DISOCCUPAZIONE ALTISSIMA – Dalle analisi contenute in questo trentasettesimo Report Sicilia emerge che nel corso dell’anno il numero dei disoccupati è destinato a salire in misura abnorme. Si stima una crescita a oltre 306 mila unità (da 240 mila e 700 del 2011), equivalente ad un tasso di disoccupazione che potrebbe raggiungere il 18,0 per cento (10,5 per cento il dato dell’Italia), il livello massimo dal 2004. Al forte aumento della disoccupazione contribuiranno, oltre a coloro che hanno perso un precedente impiego e a chi e’ alla ricerca di una prima occupazione, anche i massicci rientri nel mercato del lavoro di persone che in precedenza avevano cessato la ricerca perché scoraggiate dalle difficoltà incontrate. Secondo le statistiche, il soggetto che nel corso dell’intervista dichiara di non essere alla ricerca di un lavoro non e’ considerato, ovviamente, disoccupato. Si tratterebbe per lo più di studenti e casalinghe spinti dalla necessità di reintegrare redditi famigliari erosi per vari motivi dalla crisi. Le drastiche misure di aggiustamento della finanza pubblica, gli annunci di nuovi tagli di posti di lavoro correlati a ristrutturazioni aziendali sono destinati a frenare ulteriormente la già debole spesa di consumo. Si stima perciò una contrazione – la quinta consecutiva – del 2,8 per cento, che riporta il livello dei consumi delle famiglie siciliane indietro di quindici anni.

LENTEZZA DELLA SPESA – Le inquietudini sulle prospettive di domanda penalizzano massicciamente anche gli investimenti, attesi scendere del 5,8 per cento a causa di consistenti ripiegamenti sia della spesa in macchinari e attrezzature sia di quella in costruzioni. In questo contesto si inserisce la vicenda della spesa relativa ai fondi comunitari legai al ciclo di programmazione 2007-2013, divenuta un caso nazionale ed europeo di inefficace programmazione e gestione poco trasparente dei fondi strutturali: si veda l’intervista rilasciata dal ministro della coesione territoriale, Fabrizio Barca, lo scorso 14 luglio, così come le numerose inchieste giornalistiche svolte da diversi quotidiani nazionali all’indomani della decisione di congelamento di 600.000 milioni di pagamenti già anticipati dalla Regione da parte del commissario Ue per gli Affari regionali Johannes Hahn. Al tradizionale dato sulla lentezza della spesa (ad esempio il comitato di sorveglianza del Fesr accertava alla fine di aprile che lo stato di avanzamento finanziario in termini di pagamenti effettuati era di poco meno dell’8%), si aggiunge il sistematico spiazzamento delle risorse comunitarie, programmate per obiettivi strutturali e straordinari, verso obiettivi ordinari di spesa corrente. La corretta ed efficiente gestione delle risorse comunitarie è strettamente connessa alla grave situazione del bilancio regionale, le cui voci di spesa risultano ulteriormente aumentate evidenziando una situazione seria di effettiva insostenibilità delle future gestioni, come ha ricordato il procuratore generale d’appello nel ‘Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione relativo al 2011’, presentato a fine giugno 2012. Agli aspetti specifici, già ricordati nei due punti precedenti, si aggiungono le difficoltà che ha attraversato l’attuazione del ciclo di programmazione 2007-2012 in Italia e, in particolare, nell’attuazione del Fesr.

VINCOLI PESANTI – La difficoltà ad attuare il cofinanziamento nazionale, la rimodulazione continua dei fondi Fas, il percorso avviato del federalismo fiscale e, non ultima, la crisi economica globale hanno determinato una serie di vincoli che hanno comportato la sostanziale ridefinizione degli obiettivi strategici ed operativi. Le iniziative intraprese dal governo Monti negli ultimi mesi hanno riproposto una nuova stagione per la politica di coesione: il piano d’azione-coesione dell’autunno 2011 che prevede anche un accentramento delle risorse non utilizzate a livello locale per finalità di carattere sociale, con particolare riferimento destinate al Mezzogiorno.

Napolitano. La rete in rivolta

Snobismo da politica talmente vecchia, e inadeguata del tutto al presente, da apparire subito defunta, inutile, deleteria e più demagogica della demagogia che si attribuisce a Grillo e al Movimento 5 stelle. Questo c’è nelle parole di Giorgio Napolitano, al dire di tutti quelli che hanno invaso oggi la rete, i blog, eccetera, indignati da quest’affermazione: “Non vedo nessun boom di Grillo e dei grillini”. Napolitano avrebbe fatto meglio a tacere – secondo questi -, anziché rendersi strumentalmente ridicolo. Il pensiero che circola in rete è che fa un piacere a Grillo, il presidente, nascondendo la testa sotto la sabbia, e a quella che viene definita antipolitica ma che, nei fatti, raccoglie voti di italiani che si stanno sottraendo al sistema delle clientele dei partiti, che si sono sgretolati miseramente in queste amministrative che – invece – hanno una fortissima valenza politica. Inutile l’invito alla riflessione: cosa c’è da riflettere? Piuttosto ha ragione il comico-capopolo genovese, quando afferma che questo è solo l’inizio. E come dargli torto che i cittadini vogliono riprendersi gli spazi della res publica, dove questo si è reso possibile, col voto, con i referendum, e con qualsivoglia strumento democratico, sperando che non si metta mano a strumenti non democratici… Il ridicolo, quindi, attaccherebbe le nostre maggiori istituzioni, dall’interno degli stessi uomini che le rappresentano? Il vero problema è questo. Ed è questa la riflessione che dovrebbe accompagnare queste ore di cartina al tornasole. Arroccarsi ai palazzi del potere e alle seggiole che si occupano indica una sola cosa: la debolezza di uomini che appartengono a un passato che ha determinato esso stesso quel presente a cui non sanno rispondere con altro che non sia l’ipocrisia e questo odioso e grottesco snobismo. Chi e cosa hanno reso possibile il fenomeno Grillo? E non si tratta di un fenomeno di cui dobbiamo tutti prendere atto?  La risposta di Grillo al capo dello Stato non si è fatta attendere: «L’anno prossimo si terranno le elezioni politiche e, subito dopo, sarà nominato il successore di Napolitano, che potrà godersi il meritato riposo». «Sono rimasto a bocca aperta, spalancata, come un’otaria. Ho le mascelle che mi fanno ancora male. Là dove non hanno osato neppure i Gasparri e i Bersani ha volato (basso) Napolitano», ha poi aggiunto il comico-blogger. Grillo cita la Costituzione e ricorda che «il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale» (articolo 87 della Costituzione), dunque «rappresenta anche il Movimento 5 Stelle e anche, dopo queste elezioni, i suoi circa 250 consiglieri comunali e regionali scelti dai cittadini. Il boom del Movimento 5 stelle non si vede, ma si sente. Boom, boom, Napolitano!». C’è un’altra Italia, secondo Grillo, ma non saranno certo uomini come Napolitano, Alfano, Berlusconi, Casini o Bersani a prenderne atto pubblicamente, mentre nel loro privato provano ben altri sentimenti. Mentre Monti, il governo tecnico più ricattato al mondo, messo su in fretta proprio da Giorgio Napolitano, adesso pagherà precipuamente il costo di aver gettato le basi perché i grillo e i grillini guadagnassero sempre più spazio, in un fenomeno che li porta a breve in parlamento e al senato. Si cercano solo capri espiatori, dalla miopia che offusca da sempre la seconda repubblica, di cui vediamo le ceneri oggi. Pur non amando particolarmente Grillo, la mia somma soddisfazione sarebbe vederlo a colloquio con la Merkel: ci metterebbe un istante a distruggerne l’immagine. Vorrei vedere lui a Bruxelles, e non un dubbio (per il momento) Hollande, a discutere dell’intoccabilità del fiscal compact… Sono certo che solo dai comici può venire il linguaggio che tutti ci aspetteremmo sentire veramente parlare alla UE. Visto che si parla, tra un bacino e un altro (che schifo) sulle labbra, del destino di popoli e nazioni. Via i vecchi politici: avanti i comici! Amen.

Salvatore Maresca Serra, Roma 8 maggio 2012

SOVRANITA’ DEL BILANCIO e FISCAL COMPACT

 

Di fronte alla crisi dei debiti sovrani l’Europa ha reagito imponendo regole più severe per evitare comportamenti che possono generare un ulteriore indebitamento. I vincoli di Maastricht e del Patto di Stabilità vengono infatti ulteriormente rafforzati dal c.d. fiscal compact, che richiede che il saldo di bilancio strutturale – ossia al netto dell’andamento del ciclo – non debba superare lo 0,5% del Pil, mentre la distanza fra la quota del debito sul Pil e il 60% deve essere ridotta del 5% all’anno. Vengono poi definite, sempre nel fiscal compact, procedure di controllo e sanzioni per evitare che le regole previste non vengano osservate.

Primo passo
La giustificazione di fondo del fiscal compact risale evidentemente al crescente indebitamento degli stati membri dell’Unione europea. Oggi gli stati dell’eurozona hanno perso in larga misura anche la sovranità relativa alla formazione del bilancio, che deve essere sottoposto a un giudizio preventivo delle istituzioni europee. Se gli impegni assunti al momento della formazione del bilancio non vengono rispettati, le regole prevedono anche sanzioni e, in ultima istanza, un ricorso alla Corte europea di giustizia.

L’avvio di questa Unione di bilancio, fortemente voluta dalla Germania, rappresenta soltanto un primo passo in avanti verso la costruzione di una vera e propria Unione fiscale. E, in effetti, il pareggio di bilancio e la progressiva riduzione dello stock di debito non sono in grado di garantire, da un lato, un rilancio dell’economia europea e, d’altro lato, il rispetto delle regole istituzionali che devono caratterizzare una democrazia compiuta.

Se la ripresa dell’economia non può più fondarsi su un crescente indebitamento, vi è ormai una larga convergenza sul fatto che occorre lanciare in tempi brevi un piano europeo di sviluppo sostenibile, il cui punto centrale sembra essere l’individuazione di fonti di energia diverse dai combustibili fossili, per far fronte al problema dei cambiamenti climatici in primo luogo, ma anche per ridurre la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di gas e di petrolio e per mettere a disposizione nuove fonti di energia per i paesi economicamente arretrati, in particolare del continente africano. Il perseguimento di questo obiettivo presuppone una massa ingente di investimenti pubblici, in primo luogo nella ricerca e nell’applicazione dei risultati della ricerca nella produzione di nuove fonti di energia pulita.

Lo strumento per favorire la transizione verso una nuova economia delle fonti di energia pulite è la carbon tax, ossia un’imposta europea che colpisca le diverse fonti sulla base sia del contenuto energetico, sia, e soprattutto, sulla base del contenuto di carbonio. Con la carbon tax il prezzo dei combustibili fossili aumenta in misura proporzionale alle esternalità negative provocate dal contenuto di carbonio, rendendo quindi conveniente il ricorso a fonti di energia alternative.

Tesoro europeo
Il finanziamento del piano farà aumentare la dimensione del bilancio europeo, che non dovrà comunque superare nel medio periodo il 2% del Pil. Ma questo aumento sarà compensato da una contrazione dei bilanci degli Stati membri, trasferendo all’Unione la competenza su spese (in particolare nel settore della difesa, della politica estera, della ricerca) che possono sfruttare le economie di scala possibili a livello europeo.

Il bilancio, finanziato con risorse proprie, dovrà essere gestito da un Tesoro europeo di natura federale, responsabile della realizzazione del piano di sviluppo sostenibile e del coordinamento della politica economica dei paesi membri. Una volta realizzata questa trasformazione istituzionale, appare quindi del tutto realistico prevedere l’istituzione di un ministro europeo del Tesoro, primo fondamentale pilastro di un governo europeo dell’economia.

In questa prospettiva il Consiglio europeo deve fissare da subito le diverse tappe e, soprattutto, la data finale che segnerà l’inizio del funzionamento dell’Unione fiscale. Ma un Tesoro europeo potrà operare con efficacia solo se ha consenso. Deve quindi essere soggetto al controllo democratico del Parlamento e agire nel quadro di un governo che sia rappresentativo della volontà popolare.

La decisione di procedere alla costruzione di un’Unione fiscale, con un Tesoro e una finanza federale, deve essere dunque accompagnata da una contestuale decisione che fissi la data per l’avvio della Federazione compiuta, che contempli in prospettiva anche una politica estera e della sicurezza europea.

Percorso a tappe
L’avvio di un piano europeo di sviluppo sostenibile deve essere inserito in un’evoluzione a tappe dall’Unione monetaria a una vera Unione economica e fiscale, che dovrà portare successivamente alla fondazione degli Stati Uniti d’Europa. In questa prospettiva, l’approvazione del fiscal compact può essere vista come la realizzazione della prima tappa nell’ambito, in primis, dell’eurozona.

In una seconda tappa, tuttavia, il risanamento deve essere accompagnato dal varo di un piano europeo di sviluppo sostenibile. Il fiscal compact ha introdotto nuovi principi per la governance dell’economia europea, con controllo dei bilanci e dell’andamento macroeconomico degli Stati membri, ma la definizione del piano e, soprattutto, la sua realizzazione concreta, richiedono una cooperazione più stretta fra la Commissione e i Tesori nazionali, che si può istituzionalizzare con la creazione di un Istituto fiscale europeo – su linee analoghe a quanto è stato previsto con l’Istituto monetario europeo (Ime) in vista della creazione della Banca centrale.

La terza fase, infine, deve portare alla creazione di un Tesoro, responsabile di fronte al Parlamento europeo e al Consiglio, e incaricato della gestione della politica economica e fiscale. Sarebbe così finalmente completata l’Unione economica e monetaria, con un governo democratico dell’economia europea, nella prospettiva di un completamento della federazione con il riconoscimento di nuove competenze nel settore della politica estera e della difesa.

Alberto Majocchi è professore di Scienza delle Finanze presso l’Università di Pavia.