MANAGER DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE = MILIARDARI, ECCO I REDDITI DICHIARATI

Sono ricchi, talvolta ricchissimi, hanno storie diverse, alcuni lavorano tantissimo, altri hanno solo cariche di rappresentanza ma ben remunerate. Ma hanno tutti una cosa in comune: lavorano per la Pubblica amministrazione. Grazie a una legge del 1982, ogni anno i “titolari di cariche elettive e direttive di alcuni enti”, cioè manager scelti dalla politica per guidare pezzi del potere economico statale o parastatale, devono rendere nota la loro dichiarazione dei redditi dell’anno precedente e la loro situazione patrimoniale, le auto che possiedono e le società di cui hanno azioni. Attenzione: si parla dei redditi complessivi, non degli stipendi pagati dalla pubblica amministrazione (anche se per molti le due cose coincidono, soprattutto per quelli al vertice di istituzioni che rendono incompatibili gli incarichi privati). Dal bollettino pubblicato il 16 luglio sui redditi 2010 che Il Fatto Quotidiano ha potuto consultare emerge uno spaccato della società italiana, il racconto di chi sono i veri ricchi di questo Paese (almeno i veri ricchi che non evadono, o quasi).

Nell’elenco compaiono alcuni politici, tipo Piero Fassino (128.191 euro) o Matteo Renzi (109.573 euro) in quanto presidenti di fondazioni locali, a Torino il teatro Regio, a Firenze il Maggio Fiorentino. Gianni Alemanno, citato in quanto presidente della Fondazione teatro dell’Opera di Roma, dichiara 152.055. Ma sembrano indigenti a confronto degli altri. Gli stipendi più alti si trovano nella prima linea delle società controllate dal Tesoro, nomi poco conosciuti al grande pubblico ma strapagati: guadagna 727.170 euro Domenico Arcuri, amministratore delegato di quell’Invitalia che aveva scelto lo squattrinato Massimo Di Risio per rilevare la Fiat di Termini Imerese (ora è stato scaricato da tutti, dopo aver fatto perdere un anno di tempo). Il vicepresidente di Fintecna, società che sta passando dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti, Vincenzo Dettori, dichiara 392.392 euro. Mentre i due vertici della Cassa depositi e prestiti sono su un altro ordine di grandezza: il presidente Franco Bassanini ha un reddito di 567.262, l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini 1.925.997.

Ci sono anche figure di cui ci eravamo un po’ dimenticati: a fine 2011 il professor Augusto Fantozzi si è dimesso da commissario straordinario di Alitalia, incaricato di liquidare quel che restava della bad company, ma per il 2010 ha dichiarato un reddito di 3.686.272. Il suo compenso per l’attività di commissario è sempre stato misterioso e tuttora non sappiamo quanta parte di quei 3,6 milioni sia dovuta a tale attività. Il suo successore Stefano Ambrosini, che nel 2010 ancora non era subentrato a Fantozzi, si ferma a 957.379. L’ex leghista Dario Fruscio è stato per anni nel cda dell’Eni, poi è passato all’Agea, la società che gestisce i finanziamenti all’agricoltura, Umberto Bossi lo aveva rimosso e lui è riuscito a riprendersi la poltrona a colpi di ricorsi al Tar: deve essere ben pagata, visto che nel 2010 Fruscio ha dichiarato 1.048.478 euro. Un altro manager di area leghista, il varesotto Giuseppe Bonomi, alla Sea che gestisce l’aeroporto di Malpensa, dichiarava 919.847 euro.

NEL RAPPORTO curato dalla presidenza del Consiglio ci sono anche curiose eccezioni verso l’alto e verso il basso. L’imprenditrice milanese Diana Bracco, che figura in quanto presidente di Expo 2015, ha un reddito di 5,6 milioni di euro, ma non stupisce più di tanto, è noto che il suo gruppo sia redditizio. Sorprende invece un po’ la situazione di Mauro Cipollini, amministratore delegato di TechnoSky, una controllata dell’Enav, l’ente nazionale per l’aviazione civile che è finito al centro di alcune inchieste per presunte tangenti. Cipollini nel 2010 ha dichiarato soltanto 3.987 euro. Eppure nel 2007 ha comprato una Mini Cooper e l’anno successivo, nel 2011, immatricola una Porche Cayenne. Altra curiosità: nell’elenco c’è perfino il professor Francesco Alberoni, un tempo guru della sociologia all’Università di Trento oggi pensionato ed editorialista (nel 2010 ancora al Corriere della Sera) e presidente del Centro sperimentale di cinematografia: reddito da 396.389 euro.

Chi lavora alla Rai e alla Banca d’Italia ha redditi decisamente superiori. L’ex presidente della tv pubblica, il giornalista Paolo Garimberti, nel 2010 guadagnava 670.304 euro, l’allora direttore generale Mauro Masi ne dichiarava quasi altrettanti, 695.466, la sua sostituta Lorenza Lei si fermava a 424.106. Alla Banca d’Italia nel 2010 il più ricco era Mario Draghi, allora governatore, con 1,021 milioni di euro. Il suo direttore generale, Fabrizio Saccomanni, che ora potrebbe essere riconfermato dopo aver sfiorato la nomina a governatore, non se la passava tanto peggio: 838.596 euro. Ignazio Visco, suo vice all’epoca e oggi governatore, dichiarava la metà ma comunque cifre consistenti: 405.201 euro. Poi c’è Finmeccanica, società controllata dal Tesoro e di cui tutto è noto, visto che è quotata in Borsa. O meglio, sono noti gli stipendi dei suoi top manager ma non le loro dichiarazioni dei redditi. Eccole: nel 2010 Giuseppe Orsi, oggi presidente, dichiarava 1,654 milioni, l’allora presidente Pier Francesco Guarguaglini 5,5 milioni, Giorgio Zappa e Alessandro Pansa, entrambi con la carica di direttore generale, avevano rispettivamente un reddito di 2,5 e 2,6 milioni.

DA QUASI SEI ANNI diversi governi hanno provato a mettere un tetto agli stipendi, anche cumulati, dei manager che lavorano nel settore pubblico. L’ultimo tentativo è del governo Monti che a marzo ha fissato il limite a 294mila euro lordi all’anno. Sarebbe un bel crollo del reddito di molti dei protagonisti del rapporto di palazzo Chigi. Per rendere operativo il tetto serve un decreto del ministero del Tesoro che, come ricordato ieri da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ancora non si è visto. Qualche mese fa il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, reddito 2010 da 1,36 milioni, si era detto sicuro che nel 2013 avrebbe dichiarato soltanto i 294 mila euro previsti dal governo. Forse era stato troppo pessimista.

di Stefano Feltri e Carlo Tecce

da Il Fatto Quotidiano del 17 giugno 2012

Damasco, bomba: ucciso ministro della Difesa e cognato di Assad

Morti anche il ministro dell’Interno e il capo della «cellula di crisi». Responsabile forse guardia del corpo. Slitta voto Onu

È il giorno della paura e del sangue per Bashar al-Assad e gli uomini più vicini al presidente siriano. Il ministro siriano della Difesa, Dawoud Rajiha, e il suo vice Assef Shawkat (cognato di Assad) sono morti nell’attentato contro il quartier generale della sicurezza a Damasco dove era in corso un vertice tra il governo Assad e i capi dell’intelligence. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un attacco kamikaze o di una bomba lasciata nel palazzo probabilmente da un infiltrato. Nell’esplosione sarebbero rimasto ferito anche il capo dell’intelligence, Hisham Bekhtyar, che è stato sottoposto ad un’operazione chirurgica. Feriti «in maniera critica» anche alti funzionari della sicurezza. È morto anche il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim Al Shaar. Mentre è stato ucciso anche il generale siriano Hassan Turkmani, capo della “cellula di crisi che coordina le azioni contro i ribelli».

Il ministro della difesa morto nell’attentato
RIVENDICAZIONE – Il Libero esercito siriano (la milizia dei ribelli anti-Assad) ha rivendicato l’attentato e ha smentito si tratti di un attentato kamikaze. «Questo è il vulcano di cui abbiamo parlato, abbiamo appena iniziato», ha avvertito il portavoce Qassim Saadedine. «Il Vulcano di Damasco e il terremoto della Siria» è il nome dell’operazione lanciata lunedì dai ribelli contro le forze del presidente Bashar al-Assad. Anche un gruppo islamista di opposizione al regime siriano, Liwa al-Islam, ha rivendicato su Facebook la responsabilità dell’attentato.
CIRCONDATO OSPEDALE – L’edificio dove è avvenuto l’attentato si trova sulla Piazza Rauda, nel quartiere di Abu Roummaneh. La zona è vicina alle ambasciate italiana e americana ed è sottoposta normalmente a strette misure di sicurezza. La Guardia repubblicana ha circondato l’ospedale Shami, dove sono stati portati i feriti. Nel frattempo le truppe fedeli al regime siriano di Bashar al-Assad si sarebbero ritirate dal quartiere di Midan, nella periferia di Damasco, dove da giorni combattono con le milizie dell’opposizione. Lo ha annunciato Abu Bakr, capo della brigata Abu Omar che fa capo all’Esercito siriano libero, alla tv satellitare al-Arabiya. I soldati di Assad avrebbero anche abbandonato in strada alcuni mezzi militari

Il fumo che si alza su Damasco
BOMBA O KAMIKAZE – A provocare l’esplosione potrebbe essere stata una bomba lasciata prima della riunione tra ministri e funzionari da qualcuno «interno» all’apparato di sicurezza e non un kamikaze, come riferito dalle fonti ufficiali. Ma a causare l’attentato potrebbe essere stato anche un kamikaze che indossava una cintura esplosiva. L’uomo sarebbe appartenuto alla ristretta cerchia delle guardie del corpo incaricate di proteggere i principali gerarchi del regime.
«TAGLIEREMO LE MANI AI RIBELLI» – Assad non molla. In un comunicato letto alla televisione di Stato, le forze armate siriane hanno detto che rimangono «più determinate che mai ad affrontare tutte le forme di terrorismo e a tagliare le mani di chi mette in pericolo la Siria». Il comunicato aggiunge che l’attentato odierno è opera di «mani prese in prestito da stranieri». Poi la minaccia: «Le forze armate sono determinate a finire di uccidere le bande terroristiche e i criminali e a ricercarli ovunque si trovino». «Chiunque pensi che colpendo i comandanti può piegare la Siria, si illude». Poi il governo siriano ha nominato nuovo ministro della Difesa il generale Fahd al-Furayj, in seguito all’attacco costato la vita oggi a Damasco al suo predecessore Daoud Rajiha e al vice Assef Shawkat, cognato del presidente Bashar al Assad.

PALAZZO PRESIDENZIALE – A Damasco si combatte per il quarto giorno consecutivo e la battaglia tra forze governative e ribelli si è avvicinata al palazzo presidenziale. Nel distretto di Dummar, una caserma dell’esercito – che si trova a poche centinaia di metri dal palazzo del popol – è finita sotto il fuoco dell’opposizione. «Sentiamo il rumore di armi da fuoco leggere. Le esplosioni stanno diventando sempre più forti dalla parte della base militare», ha riferito un architetto, Yasmine, al telefono dalla zona di Dummar. E una forte esplosione ha interessato una caserma dell’esercito siriano a Damasco. Secondo quanto riferisce al-Jazeera è stata colpita la sede del quarto battaglione dell’esercito. Si tratta della seconda esplosione registrata.

COMBATTIMENTI A DAMASCO- A Damasco «nelle ultime 48 ore si registra una escalation di violenza», con esplosioni e scontri a fuoco «in un raggio di 4 chilometri dal quartier generale degli Osservatori delle Nazioni Unite», nel pieno centro della capitale siriana. È il commento di alcuni membri della missione Onu a Damasco. «Da ieri udiamo esplosioni, continue sparatorie», anche se «non si tratta di una vera e propria battaglia», precisano le fonti. Gli Osservatori dell’Onu «non sono stati coinvolti fino a ora, anche se a Damasco tutti sono in pericolo, è ovvio». E più di sessanta soldati sono stati uccisi nella battaglia in corso nella Capitale con i ribelli dell’opposizione: è la stima dell’Osservatorio siriano sui diritti umani, che ha sede a Londra.

Combattimenti a Damasco
NUOVE DISERZIONI – Assad sempre più solo, dunque. E dopo che lo hanno abbandonato militari e diplomatici, si sono verificate nuove diserzioni tra le file delle forze armate siriane. Due generali di brigata hanno attraversato nella notte il confine con la Turchia, portando così a 20 il numero di ufficiali che hanno abbandonato l’esercito del presidente, Bashar al-Assad. «Circa 330 siriani, inclusi due generali di brigata, sono fuggiti nella notte. Sono in tutto 20 gli alti ufficiali siriani rifugiati in Turchia» ha detto un funzionario del ministero degli Esteri turco.
MOSCA – In Siria sono in corso «combattimenti decisivi»: lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, affermando anche che Mosca è contraria a una risoluzione in favore di un «movimento rivoluzionario» in Siria. Mercoledì il premier turco, Recep Tayyip Erdogan è arrivato a Mosca su invito del presidente russo Vladimir Putin «per una visita di lavoro» e «uno scambio di vedute sulle relazioni bilaterali e un confronto sulle principali questioni internazionali e regionali, compresa la situazione in Siria».

PARIGI – E dalla Francia è arrivata un appello affinché disertino e abbandonino Assad anche gli «ultimi appoggi del regime». «La lotta del presidente siriano Bashar Al-Assad per mantenere il potere è vana», ha aggiunto un portavoce del ministero degli Esteri francese. Bashar al Assad, ha detto il portavoce del Quai d’Orsay Bernard Valero, «deve capire che la sua lotta per conservare il potere è vana e che niente fermerà la marcia del popolo siriano verso la democrazia, che è nelle sue aspirazioni. Gli ultimi appoggi al regime – ha quindi aggiunto Valero – devono capire che la repressione non porta a nulla e li invitiamo a dissociarsi da questa sanguinosa repressione che va avanti da sedici mesi».

LONDRA – Di altro avviso rispetto a Mosca è il Foreign Office inglese. La Siria «è minacciata dal caos e dal collasso», nei quali rischia di precipitare data la situazione attuale, che è «persino peggiore di quella, terribile, prevalsa negli ultimi mesi»: così il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha commentato l’attentato suicida di a Damasco, costato la vita tra gli altri al ministro della Difesa siriano, Daoud Rajha, e ad Assef Shawkat, cognato del presidente Bashar al-Assad. «Ecco», ha spiegato il capo della diplomazia di Londra, «l’urgenza di garantire l’adozione non solo di una risoluzione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma di una risoluzione che possa condurre alla soluzione del problema, all’avvicinamento verso un processo politico di natura pacifica, e all’avvento in Siria di un governo transitorio». Hague ha quindi sottolineato che il provvedimento, sul quale il Consiglio medesimo voterà in giornata, oltre a non doversi limitare a richiamare le versioni che lo hanno preceduto, non deve neppure porre le basi per un tipo d’intervento militare quale quello della Nato in Libia.

USA -Preoccupati per la situazione in Siria sono gli Stati Uniti. Lo afferma il segretario alla Difesa Leon Panetta, sottolineando che c’è bisogno di aumentare la pressione su Assad. Il Pentagono ritiene che la guerra civile siriana stia «rapidamente finendo fuori controllo». Sulla stessa linea l’omologo britannico, Philip Hammond, a Washington, secondo il quale la situazione in Siria si sta deteriorando e sta diventando sempre più imprevedibile. Il presidente Usa, Barack Obama ha poi avuto un colloquio telefonico con il presidente russo Vladimir Putin sulla Siria. Lo rende noto la Casa Bianca spiegando che tra i due restano «divergenze».

ANKARA – La Turchia non ha nulla a che vedere con l’attentato di Damasco di oggi dove sono morti tre alti responsabili della sicurezza. Lo ha dichiarato in serata il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. «I regimi autocratici ricorrono in questi casi ai metodi che conoscono meglio: la disinformazione. La Turchia non ha nulla a che vedere con questo attacco», ha detto Erdogan ritornando da una breve visita a Mosca dove ha incontrato il presidente russo con il quale ha parlato della crisi siriana

ONU – Dato lo stallo diplomatico slitta l’atteso voto in Consiglio di Sicurezza all’Onu di una risoluzione che proroga la missione degli osservatori sul territorio slitta a domani, confermando le difficoltà al raggiungimento di un’intesa. Da un lato la Russia rimane a fianco di Assad, dall’altro i paesi occidentali non sono intenzionati a cedere sul riferimento a possibili sanzioni. Posizioni quindi opposte, indurite dall’attentato contro il Palazzo di Sicurezza di Damasco nel quale è rimasto ucciso anche il cognato di Assad. L’Italia, con il ministro degli esteri Giulio Terzi, conferma il proprio appoggio ad Annan ma ritiene urgente un’azione dell’Onu. Sulla crisi in Siria la Lega araba convoca una riunione straordinaria dei suoi ministri degli Esteri per domenica a Doha.

CRISI ISRAELE-IRAN Burgas, bomba su bus di turisti israeliani otto morti, Netanyahu: “E stato l’Iran”

La deflagrazione all’esterno dell’aeroporto sul Mar Nero. A bordo molti giovani, appena arrivati da Tel Aviv. Trenta i feriti. Esattamente 18 anni fa strage in un centro ebraico a Buenos Aires. Il premier israeliano: “Reagiremo con forza”. Terzi: “Italia in prima linea su difesa Israele”

TEL AVIV – Terrore a Burgas, località bulgara sul Mar Nero, a 400 chilometri a est di Sofia, dove un’esplosione ha sventrato uno dei tre autobus su cui viaggiava una comitiva di turisti israeliani, in gran parte di giovani, appena sbarcata nel locale aeroporto e proveniente da Tel Aviv. Il bilancio è di 8 morti e 30 feriti: a bordo dell’autobus si trovavano 47 persone.

La polizia bulgara dopo una breve indagine ha confermato che si è trattato di un attentato, ma già le prime testimonianze non lasciavano dubbi sull’origine dell’accaduto. Secondo il ministro degli Esteri bulgaro Nikolai Mladenov a provocare l’esplosione è stata una bomba. Le autorità bulgare hanno chiuso lo scalo, dirottando i voli su Varga.

Le accuse all’Iran. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu punta il dito contro Teheran: “Tutto induce a credere che sia stato l’Iran. Israele reagirà con forza al terrore iraniano”. E dagli Stati Uniti giunge la condanna della Casa Bianca, “nei termini più duri possibili”, come ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney: “Obama e l’amministrazione stanno raccogliendo tutte le informazioni sul caso, ma resta incrollabile l’impegno americano per la sicurezza di Israele”. Il Presidente ha anche chiamato Netanyahu per porgergli le proprie condoglianze.

L’alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, si è detta sconvolta e scioccata dalle immagini trasmesse dall’aeroporto di Burgas. Condannando l’attentato nel modo più fermo, la Ashton chiede sia fatto tutto il necessario per individuare gli autori della strage e portarli davanti alla giustizia. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi, sconvolto per l’attentato, ha confermato che “l’Italia è e continuerà ad essere in prima linea a difesa del diritto fondamentale alla sicurezza di Israele e dei suoi cittadini”.

Le autorità di Tel Aviv avevano avvertito la Bulgaria, destinazione molto popolare presso il turismo israeliano, sulla sua vulnerabilità agli attacchi di militanti islamici infiltrati attraverso la Turchia. In passato, turisti israeliani sono stati oggetto di attacchi in India, Thailandia e Azerbaijan. Azioni dietro cui Tel Aviv ritiene vi sia l’Iran, che a sua volta ha accusato Israele di essere il mandante degli attentati costati la vita agli scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare di Teheran.

I testimoni: “E’ stato un kamikaze”. Gal Malka, un testimone intervistato da un’altra tv israeliana, Channel 2, ha raccontato di aver visto qualcuno salire a bordo di un autobus, subito dopo c’è stata l’esplosione. Si sarebbe trattato dunque, secondo questa testimonianza, di un attacco kamikaze. Il racconto combacia con la versione fornita telefonicamente da Aviva Malka, una donna che era a bordo dell’autobus, alla radio dell’esercito israeliano: “E’ stato un kamikaze. Ci siamo seduti, pochi secondi dopo abbiamo avvertito la grande esplosione e siamo scappati, passando attraverso uno squarcio nell’autobus. Abbiamo visto corpi e tanti feriti”. La ricostruzione ufficiale comunque al momento parla di una bomba.

L’anniversario dell’attentato di Buenos Aires. Come ha ricordato proprio Netanyahu, l’attentato di Burgas è avvenuto nel giorno del 18° anniversario dell’azione terroristica che a Buenos Aires, nel 1994, costò la vita a 85 persone, 300 i feriti. All’epoca, una cellula terrorista colpì con un’autobomba l’edificio dell’Associazione di mutuo soccorso ebraico. Per quell’attentato vennero chiamati in causa dalla giustizia argentina elementi di provenienza iraniana ed esponenti di Hezbollah. “Diciotto anni dopo – ha aggiunto il premier di Tel Aviv – il terrore iraniano continua a mietere vittime innocenti. Questo è un attacco del terrore iraniano che si diffonde nel mondo intero. Israele reagirà con forza al terrore iraniano”.

Le altre reazioni. Channel 10 attribuisce questa dichiarazione al ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, dopo una consultazione con i suoi consiglieri: “Israele saprà trovare e punire i responsabili. Nel frattempo gli israeliani mantengano i nervi saldi e continuino a viaggiare all’estero”.

Sconvolta anche la comunità ebraica italiana: a Roma una cerimonia straordinaria per le vittime dell’attentato di Burgas si terrà questa sera alle 21 nella Grande Sinagoga, come rendono noto Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana, e il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni. Da Tel Aviv, dove domani, sabato e domenica dirigerà la Israel Philharmonic Orchestra, il maestro Riccardo Muti annuncia: “Il Requiem di Verdi sarà dedicato alle vittime dell’attentato in Bulgaria”.

PER UN PUGNO DI 40 MILIONI «Così Dell’Utri ricattava Berlusconi»

Silvio Berlusconi - Caricature

Silvio Berlusconi – Caricature (Photo credit: DonkeyHotey)

 

Per l’accusa l’ex premier pagò il silenzio nei processi

PALERMO – Sono tanti soldi, più di quaranta milioni, quelli che Silvio Berlusconi ha versato a Marcello Dell’Utri negli ultimi dieci anni. Il prezzo del ricatto, secondo l’accusa, esercitato sull’ex presidente del Consiglio da uno dei più stretti collaboratori colluso con la mafia. Il quale, per tacere particolari scomodi o per altre ragioni legate alle sue «relazioni pericolose» con i boss, ha costretto Berlusconi a pagarlo profumatamente. Anche di recente. Almeno fino alla vigilia della sentenza della Cassazione, dopo la quale sarebbe potuto finire in galera. A meno di darsi a una clamorosa latitanza. Invece evitò la cella perché la Corte annullò la condanna, pur confermando i rapporti dell’imputato con Cosa Nostra negli anni Settanta e Ottanta. Ma il ricatto, nell’ipotesi della Procura di Palermo, non s’è mai fermato.

Solo la metà di quel fiume di denaro risulta formalmente giustificata dall’acquisto di villa Comalcione a Torno, sul lago di Como. Venduta da Dell’Utri a Berlusconi per 21 milioni l’8 marzo scorso (il giorno prima del giudizio della Corte suprema, per l’appunto), nonostante una valutazione del 2004 fissasse il prezzo della lussuosa abitazione a «soli» 9,3 milioni. Tutto il resto non ha motivazione ufficiale, e i versamenti dai conti bancari dell’ex premier a quelli del senatore e di sua moglie sono stati registrati sempre sotto la stessa voce: «prestito infruttifero». Stesso discorso per la donazione di titoli bancari.

I magistrati considerano Berlusconi vittima della presunta estorsione realizzata dal senatore del Pdl che lo aiutò a fondare Forza Italia e l’ha accompagnato in tutta la sua avventura politica. E come lui sua figlia Marina, giacché alcuni pagamenti sono arrivati da conti correnti cointestati a lei. Per questo entrambi sono stati convocati.

La nuova indagine nasce da uno stralcio di quella sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi, tra il ’92 e il ’94, all’interno della quale un anno fa la Procura di Palermo acquisì le prime tracce dei movimenti milionari scovati dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta romana sulla cosiddetta P3 (Dell’Utri è imputato anche lì): 9 milioni e mezzo elargiti in tre tranche : 1,5 il 22 maggio 2008, tratto da un conto del Monte dei Paschi di Siena, e altri 8 tra il 25 febbraio e l’11 marzo 2011, arrivati da una filiale milanese di Banca Intesa private banking. Dopo gli approfondimenti degli investigatori delle Fiamme gialle sono venuti alla luce altri movimenti bancari sospetti, è così scattata la nuova ipotesi di estorsione. Collegata, più che alla trattativa, al processo per concorso in associazione mafiosa a carico del senatore.

Proprio mercoledì è cominciato il nuovo dibattimento di appello, dopo l’annullamento della Cassazione. Che però è stato parziale, poiché alcune parti della precedente sentenza sono state confermate. Come quella in cui è sancita la colpevolezza del senatore per i fatti precedenti al 1974. È stato definitivamente accertato che Dell’Utri, «avvalendosi dei rapporti personali di cui già a Palermo godeva con i boss, realizzò un incontro materiale e il correlato accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi e l’imprenditore amico Berlusconi», hanno scritto i giudici. Un’intermediazione da cui derivò «l’accordo di protezione mafiosa propiziato da Dell’Utri» in favore del futuro presidente del Consiglio. In questa trama criminale è rimasto impigliato il solo senatore, mentre Berlusconi non ha subito conseguenze nonostante le inchieste subite (è stato più volte inquisito dalla Procura di Palermo, ma sempre archiviato) sulla misteriosa origine dei suoi capitali. Oggi l’ipotesi dell’accusa è che con quei quaranta milioni, e chissà quali altre «donazioni» non ancora scoperte, l’ex premier abbia comprato il silenzio del suo amico e collaboratore su qualche particolare che poteva trasformarlo da vittima dei boss in un complice consapevole dei traffici di Cosa Nostra.

In questa ricostruzione Berlusconi è diventato dunque vittima di Dell’Utri, dopo esserlo stato della mafia per i ricatti dai quali il senatore lo avrebbe liberato grazie ai suoi «buoni uffici» negli anni Settanta e Ottanta. Ad esempio attraverso l’assunzione come stalliere nella villa di Arcore del «picciotto» Vittorio Mangano, «indicativa di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia», scrivono ancora i giudici della Cassazione.

La convocazione dell’ex premier in Procura coincide con quella chiesta dal sostituto procuratore generale nel nuovo processo d’appello a Dell’Utri. Anche in quel giudizio l’ex capo del governo è considerato dall’accusa una «persona offesa» dai reati attribuiti all’imputato. Nel 2002, ascoltato dal tribunale, si avvalse della facoltà di non rispondere poiché all’epoca era indagato in un procedimento connesso. Oggi non lo è più, e quindi sarebbe obbligato a rispondere. Come in Procura. I legali di Dell’Utri si sono opposti alla sua testimonianza. La Corte d’Appello deciderà, i procuratori hanno già deciso.

L’acquisto della villa sul lago di Como, oltre a non spiegare l’intera somma dei versamenti, agli inquirenti sembra un paravento. Al di là della sopravvalutazione rispetto alla stima del 2004, infatti, Dell’Utri giustificò i «prestiti infruttiferi» del 2008 e del 2011 con i restauri da effettuare in quella residenza. Finanziati da Berlusconi, dunque, che alla fine avrebbe l’avrebbe pagata più di 30 milioni. Un po’ troppo, pensano i pubblici ministeri in attesa di spiegazioni.
Giovanni Bianconi

ROSSELLA URRU È LIBERA! Ma la Farnesina non ne sa niente

Rossella Libera

Rossella Libera (Photo credit: PD Cagliari)

Rilasciata in Mali la cooperante italiana: è insieme a due cooperanti spagnoli, dopo nove mesi di sequestro. La notizia confermata dal ministro Terzi. L’intelligence spagnola: “Riscatto pagato”

ROMA – Dopo 9 mesi di sequestro, Rossella Urru è stata liberata: la conferma tanto attesa è arrivata alle 19,36 dalla Farnesina. Il ministro degli esteri Giulio Terzi ha commentato: “Una bellissima notizia. E’ stata liberata. Speriamo di poterle parlare quanto prima. Forse occorrerà una mezz’ora. Ho portato i saluti del presidente Napolitano ai familiari che sono qui con noi all’unità di crisi”, ha detto. Aggiungendo che Rossella è “il simbolo del coraggio, della dignità e della fierezza delle donne italiane, che lavorano in terreni di cooperazione e rappresentano la dignità, l’orgoglio e la grandezza del nostro Paese”.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha precisato Terzi, “ha seguito personalmente, insieme al presidente del Consiglio, a me e a tutto il governo questo caso così difficile per l’opinione pubblica italiana”. Lo stesso presidente Napolitano ha espresso “sollievo e gioia” per la liberazione della ragazza, e il proprio apprezzamento alle amministrazioni e ai servizi di sicurezza per la loro “tenace iniziativa e il felice esito raggiunto”. Anche il premier Mario Monti ha espresso compiacimento del Governo e suo personale per la conclusione della prigionia. “Gli organi dello Stato – ha detto – con professionalità e impegno si sono prodigati per la liberazione della nostra connazionale. Li ringrazio per questo ulteriore successo che l’Italia può segnare nella lotta contro il terrorismo internazionale”.

“Considerateli liberi perchè le nostre condizioni sono state rispettate”, aveva detto all’Afp Mohammed Ould Hicham, esponente del Movimento per l’unità e la jihad in africa occidentale (Mujao), lo stesso che ha affettuato il rapimento. Le condizioni per il rilascio, ha spiegato, erano la liberazione di tre prigionieri islamisti, “detenuti da un paese islamico” e il pagamento di un riscatto, il cui ammontare il portavoce del Mujao non ha voluto svelare.

Rossella Urru è dunque stata rilasciata e si trova, con i due cooperati spagnoli che erano stati rapiti con lei il 23 ottobre, anch’essi rilasciati, a Timbuctù, nelle mani dei mediatori. Presto arriverà in Italia. Stando a una fonte militare locale, funzionari del Burkina Faso sono già stati inviati in Mali per prendere in consegna i tre rilasciati.

La notizia della liberazione è arrivata anche a Samugheo, dove abitano i familiari della ragazza, e l’intero paese è in festa. “I genitori di Rossella sono felicissimi”, ha detto don Alessandro Floris, che ha festeggiato facendo suonare le campane della chiesa. Graziano Urru, il padre della ragazza, che con la moglie e gli altri due figli si trova a Roma, parlando col sindaco del paese Antonello Demelas ha espresso parole di gioia e ringraziamento. “Sono emozionatissima, non vedo l’ora di riabbracciare mia figlia”, ha invece detto la mamma, Marisa.

La dinamica del rilascio. La cooperante è stata rapita lo scorso autunno in un campo del Fronte Polisario nel sud dell’Algeria, nei pressi di Tindouf, dal MUJAO, cellula fuoriuscita da al-Qaeda. Ad annunciare il rilascio in prima battuta il portavoce del gruppo islamico Ansar Dine a Timbuctù, Sanda Abou Mohamed, ritenuto vicino ad all’organizzazione, che ha confermato sia la liberazione della ragazza che dei due spagnoli rapiti con lei a ottobre, Ainhoa Fernandez del Rincon ed Enric Gonyalons. L’uomo ha precisato che gli ostaggi sono stati rilasciati dal gruppo MUJAO vicino alla città settentrionale di Gao. MUJAO è alleato di Ansar Dine e i due gruppi hanno combattuto insieme per sottrarre la parte settentrionale del Mali ai ribelli Tuareg.

Il possibile elemento di svolta nella liberazione dei tre ostaggi potrebbe essere, secondo l’agenzia mauritana Ani, il rilascio, nelle prime ore del mattino, di Mamne Ould Oufkir, arrestato lo scorso 4 dicembre in Mauritania perchè sospettato di essere coinvolto nel sequestro dei tre. L’uomo ha lasciato il carcere centrale di Nouakchott ed è stato accompagnato dalle autorità mauritane fuori dalla capitale in una località ignota. Il suo nome faceva parte della lista dei detenuti salafiti da liberare in cambio della Urru, avanzata dal Mujao. Non è certo però che sia stato usato per lo scambio con l’ostaggio italiano.

Fonti dell’intelligence spagnola hanno inoltre riferito al sito Globalist che la Urru e lo spagnolo Enrico Gonyalons sono stati liberati a seguito del pagamento di un riscatto. Non hanno voluto precisare l’entità della somma, che si aggirerebbe intorno ad alcuni milioni di euro, versati da Italia e Spagna. Il pagamento sarebbe avvenuto in contanti e in euro e, prosegue Globalist, il rilascio di Ould Faqir farebbe parte della trattativa. E’ stato il sito del giornale Il Foglio a dare per primo in Italia la notizia del possibile rilascio.

Aids: Fda, primo farmaco contro infezione

(ANSA) – MILANO – La Food and drug administration americana ha approvato, per la prima volta, un farmaco per prevenire la trasmissione dell’hiv. Prodotto da un’azienda californiana, e’ a base di due antiretrovirali, il tenofovir e l’emtricitabina, e puo’ essere usato non solo da chi e’ sieropositivo, ma anche da chi e’ ad alto rischio di infezione e da chi abbia rapporti sessuali con un partner sieropositivo. Secondo gli studi riduce il rischio di contrarre l’hiv fino al 73%, come spiega la Bbc.

I ribelli : «Continueremo fino alla vittoria» Assad sposta le truppe dal Golan a Damasco

Português do Brasil: O presidente Lula recebe ...

Português do Brasil: O presidente Lula recebe o presidente da República Árabe Síria, Bashar al-Assad, no Itamaraty. (Photo credit: Wikipedia)

Bombardamenti nella capitale. Gli insorti hanno abbattuto un elicottero dell’esercito. Continuano gli scontro con l’esercito
I ribelli dell’Esercito libero siriano (Esl) hanno iniziato «la battaglia per la liberazione» di Damasco e dichiarano di non fermarsi fino alla conquista della città. «Andremo avanti fino alla vittoria», ha detto il colonnello Kassem Saadeddine, portavoce dell’Esl. Ma Assad non rimane a guardare. E ha richiamato parte delle sue forze nel Golan, alla frontiera con Israele, e le ha dispiegate a Damasco. Lo ha spiegato il capo dell’intelligence militare israeliana, il generale Aviv Kochavi, ai parlamentari israeliani. Per poi aggiungere: «Non ha paura di Israele in questo momento, ma vuole soprattutto aumentare le sue forze intorno a Damasco».
RIBELLI- Così non si fermano le violenze, anzi si intensificano di giorno in giorno. «Abbiamo portato la battaglia dalla provincia alla capitale. Abbiamo un piano chiaro per controllare tutta la città. Abbiamo armi leggere ma sono sufficienti: aspettatevi sorprese», ha sottolineato il colonnello Kassem. Violenti scontri a fuoco, nel frattempo, si sono consumati tra le milizie fedeli al regime di Bashar al-Assad e gli uomini dell’Esercito siriano libero nel centro di Damasco. Durante i combattimenti è rimasto ucciso il vice capo della polizia di damasco, Issa Duba e fonti dei ribelli hanno annunciato di aver abbattuto un elicottero dell’esercito nel quartiere di Qaboun, nella capitale.
DIPLOMAZIA – Mentre al Casa Bianca mette in guardia il presidente siriano Bashar al Assad sulle responsabilità nell’utilizzo di armi chimiche, e Washington fa sapere che il presidente Obama non interverrà prima delle elezioni di dicembre, fervono gli incontri diplomatici. Il puntello di Assad restano i tradizionali alleati: la Russia e la Cina, che ha scatenato i mass media ufficiali al grido di «No alle ingerenze straniere». I giornali russi non danno molte speranze all’incontro avvenuto martedì tra Kofi Annan e Vladimir Putin a Mosca. «La crisi siriana è a un bivio»: secco il commento dell’inviato dell’Onu e della Lega araba Kofi Annan auspicando che sui progetti di risoluzione all’Onu «le discussioni continuino e i membri del consiglio di sicurezza trovino formule accettabili che converranno a tutti». «Nessun motivo per non arrivare a una risoluzione», «Fin dall’inizio abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere i suoi sforzi come inviato speciale di Onu e Lega Araba, per ristabilire la pace civile» in Siria, ha detto Putin rivolgendosi ad Annan, al Cremlino. «Faremo tutto ciò che è in nostro potere per sostenere i suoi sforzi», ha aggiunto. Il tentativo di avvicinamento diplomatico avviene alla vigilia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che voterà mercoledì una risoluzione sulla Siria.
GUERRIGLIA – I Comitati locali di coordinamento dell’opposizione siriana riferiscono di intense sparatorie sulla Via Bagdad e nel quartiere degli Abbassidi. L’aria a Damasco si sta facendo sempre più incandescente e in città regna caos e panico, soprattutto dopo la diffusione di un comunicato stampa da parte del Libero Esercito Siriano che ha annunciato l’avvio di una controffensiva nei confronti dei lealisti denominata “Vulcano di Damasco e Terremoti della Siria”. Nel testo si afferma che l’operazione è stata decisa «in risposta ai massacri e ai crimini barbarici» del nemico. Gli attacchi sono diretti contro «tutte le basi e gli uffici delle forze di sicurezza, nelle città e nelle zone rurali, per ingaggiare con esse combattimenti senza quartiere e intimare loro la resa». E si fa appello alla cittadinanza a unirsi nella lotta.
BOMBARDAMENTI – Le sparatorie arrivano mentre sono in corso da oltre 24 ore i bombardamenti dell’esercito su alcuni quartieri della capitale, tra i quali quello di Midane, vicino al centro e dal quale si leva una densa colonna di fumo nero. Sotto la pioggia dei bombardamenti è stato anche ucciso il vice capo del Dipartimento di polizia di Damasco, generale Issa Duba. L’omicidio è avvenuto negli scontri nel quartiere meridionale di al Midan. Alcuni militari, che hanno disertato per passare con gli insorti, annunciano l’inizio della battaglia per Damasco, mentre il governo iracheno consiglia ai suoi cittadini residenti in Siria di tornare quanto prima in Patria.

English: THE KREMLIN, MOSCOW. With Kofi Annan,...

English: THE KREMLIN, MOSCOW. With Kofi Annan, Secretary General of the United Nations. Русский: МОСКВА, КРЕМЛЬ. С Генеральным секретарем Организации Объединенных Наций (ООН) Кофи Аннаном. (Photo credit: Wikipedia)

Nicole Minetti ad Arcore: faccia a faccia con Berlusconi – Milano

http://video.corriere.it/minetti-pirellone/17ff4d18-cfee-11e1-85ae-0ea2d62d9e6c

La consigliera del Pdl convocata dopo una giornata in cui si sono rincorse le voci di sue dimissioni

MILANO – Nicole Minetti è ad Arcore per un incontro con Silvio Berlusconi. Secondo quanto riferiscono fonti di partito, la consigliera regionale lombarda è arrivata nella residenza del Cavaliere. Su di lei pende la richiesta di dimissioni più volte reiterata dal segretario del Pdl Angelino
LA GIORNATA IN CONSIGLIO REGIONALE – Nicole Minetti si era presentata martedì mattina in Consiglio regionale per partecipare a una seduta straordinaria su Expo. Giacca beige, maglietta e pantaloni neri e tacchi alti. Abbronzata, dopo aver trascorso qualche giorno in relax a Porto Cervo, in Sardegna, mentre sulla terra ferma si discuteva delle sue (richieste e sollecitate) dimissioni.

DOMANDE E FOTO – La consigliera regionale del Pdl non ha rilasciato nessuna dichiarazione. Per raggiungere il suo posto a sedere è passata tra un’ala di cronisti e fotografi che le hanno fatto mille domande e scattato innumerevoli flash. Lei non ha risposto. Non era imbronciata come al solito ma non ha voluto dire nulla. In molti, tra i colleghi, sono andati a salutarla.

«PER IL BENE DI TUTTI» – «Per il bene di tutti non ho intenzione di rilasciare dichiarazioni per cui smettiamola qua, non dico altro, non rispondo a nessuna domanda; quindi per cortesia veniamoci incontro». Questa è stata la risposta di Nicole Minetti ai giornalisti. A una domanda sulle dichiarazioni di ieri (lunedì 16 luglio, ndr) di Daniela Santanchè, la consigliera regionale, imputata al processo Ruby bis e di cui diversi esponenti del Pdl chiedono le dimissioni, ha commentato: «Non rispondo a nessuna provocazione né domanda». E poi, ha comunque detto ai cronisti di offrire «volentieri il caffè a tutti quanti».

FORMIGONI – «Evitate di dire che sono imbarazzato o preoccupato e nervoso, io sono serio, tranquillo, quasi gioioso, e determinato come sempre». A dirlo è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a margine dei lavori del Consiglio regionale, parlando delle eventuali dimissioni di Nicole Minetti. Lunedì il coordinatore regionale Pdl, Mario Mantovani, aveva dichiarato che sarebbero arrivate in giornata ma fino ad ora non risultano arrivate all’ufficio protocollo. Formigoni ha sottolineato: «Ieri (lunedì, 16 luglio, ndr) ho fatto riferimento alle parole del coordinatore regionale Mantovani io non ho informazioni ulteriori. A quanto risulta le dimissioni non sono state date e non so se e quando le darà»

L’«INCIDENTE» – Una prognosi di 10 giorni per una distorsione alla caviglia. È quanto accaduto al consigliere lombardo della Lega Nord, Roberto Pedretti, travolto dalla folla di giornalisti, cameraman e fotografi che inseguivano Nicole Minetti in Regione.

Mafia, assolto Romano L’ex ministro piange in aula

NON C’È solo l’ennesimo passo falso per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, nell’assoluzione decisa ieri a Palermo dell’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano (area Pdl), sia pure con la formula che «reinterpreta» la vecchia insufficienza di prove. La sentenza del gup Fernando Sestito, a conclusione del rito abbreviato, rappresenta il coronamento di un rompicapo giudiziario durato 9 anni: la Procura, infatti, aveva archiviato la prima inchiesta sull’ex dc nel 2005 e riaperto le indagini nel 2009, salvo poi richiederne l’archiviazione e vedersi imporre l’imputazione coatta di Romano per iniziativa del gip Castiglia, da cui è nato l’ultimo processo.

Una vicenda vissuta dal fondatore dei Popolari di Italia Domani (Pid) in parallelo con le disavventure dell’ex presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, già assolto dall’accusa di concorso esterno perché per gli stessi fatti sconta una condanna definitiva a 7 anni di reclusione.

Ma, una volta arrivata in aula, la Procura, con il pm Di Matteo, superando le precedenti incertezze ha chiesto per Romano la condanna a 8 anni, per aver stretto «un patto politico-elettorale mafioso». Scoppiato in lacrime durante la replica della pubblica accusa, ieri l’ex ministro ha reso dichiarazioni spontanee: «Signor giudice, non ho mai tradito la legge, ho una toga che è pulita e spero di poterla consegnare a mio figlio al più presto. Signor giudice, io amo questo Paese». Non ha assistito alla lettura della sentenza. «Finalmente è finita», questo il suo commento da casa. «Inutile nascondere la mia soddisfazione: sono stato assolto perché il fatto non sussiste. In me vi è però l’amarezza per i tempi lunghi della giustizia, incompatibili con un Paese civile».

DAL CENTRODESTRA un coro di felicitazioni. Per il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, «finalmente è stata riconosciuta la sua estraneità ai fatti, dopo che per mesi ha pesato sulla sua testa come una spada di Damocle un’accusa pesantissima ovviamente strumentalizzata dall’opposizione». Il Procuratore di Palermo, Francesco Messineo, invita a meditare sulla formula adottata. «Rispettiamo qualsiasi sentenza. Questa viene classificata come assoluzione, ma con l’articolo 530, secondo comma, del codice di procedura penale, avviene per mancanza di prove, per prove insufficienti o contraddittorie».

Bruno Ruggiero

Alta velocità, sabotata la Milano-Bologna circolazione treni in tilt

BOLOGNA – Alta velocità in tilt, questa mattina, a pochi chilometri dalla stazione di Bologna. Un pezzo metallico, forse un gancio a uncino, posizionato sulle linee aeree ha danneggiato il pantografo di unFrecciarossa. Una tecnica riconducibile all’area anarchica, secondo gli inquirenti che seguono la pista del sabotaggio.

Il sabotaggio è avvenuto tra le stazioni di Ponte Samoggia e Anzola Emilia, tra le province di Modena e Bologna. Sul posto sono presenti tecnici delle Ferrovie dello Stato, Polfer e carabinieri. Danneggiato il pantografo del Frecciarossa 9501 che da Milano era diretto a Bologna. I passeggeri sono stati fatti scendere nella stazione del capoluogo emiliano e trasferiti su un altro treno. Il sabotaggio sta causando ritardi compresi tra i 10 e i 20 minuti sulla linea ad alta velocità, dove i treni viaggiano su un solo binario. Ferrovie dello Stato è infatti in attesa del nullaosta del magistrato per la riapertura della tratta.

 

Capri, ambulanza usata come taxi La denuncia corre su Facebook

CAPRI – Il video, postato su Facebook, che riprende medici e personale del 118 in servizio sull’isola di Capri, mentre salgono a bordo dell’ambulanza del dipartimento emergenza Napoli unico mezzo destinato al pronto soccorso sul territorio dell’isola, ha creato indignazione e protestesulla pagina web “Isola denuncia”, il gruppo creato dopo i giorni della protesta contro gli aumenti dei biglietti degli aliscafi.

Il clamore sollevato dalle immagini, pubblicate su Fb, in cui viene ripreso il personale del 118 che utilizza l’ambulanza come un vero e proprio taxi ha già portato i dirigenti napoletani del servizio 118 ad aprire un’inchiesta amministrativa interna.

Nel video, infatti, si notano ben sei persone più l’autista che prendono posto nell’autoambulanza, la vettura adibita al trasporto degli ammalati o nei servizi di emergenza e pronto soccorso, mettendone a rischio la sterilità.

 

Stato-mafia, l’inevitabile passo del Colle

ROMA – E’ stata una decisione sofferta, ma inevitabile. Napolitano ha cercato attraverso vari passaggi istituzionali ad arrivare ad un chiarimento. Tutto è stato inutile. Con un punto crucialeabbastanza incomprensibile, almeno per il Colle: perché di fronte all’accertata irrilevanza di quelle registrazioni telefoniche tra il capo dello Stato e Mancino, non si è proceduto alla loro distruzione? Ora di fronte al rischio che un suo eventuale silenzio potesse comportare una «deminutio» delle prerogative presidenziali sancite dalla Costituzione, Giorgio Napolitano ha dovuto far prevalere i suoi doveri di capo dello Stato rispetto a quelli altrettanto onerosi di capo del Csm e avviare la procedura del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta.

Beninteso: nessun intento polemico o desiderio di soffocare le inchieste sulla presunta trattativa Stato-mafia nell’iniziativa del capo dello Stato anche perché – come si è detto – l’inesistenza di interessi personali è già attestata dalla conclamata irrilevanza delle intercettazioni ai fini giudiziari. Quel che invece ha indotto Napolitano ad agire è la preoccupazione che si potesse creare un pericoloso precedente su un terreno sovente melmoso come quello delle intercettazioni telefoniche. Di qui un’esigenza di chiarezza non tanto per sé quanto per l’istituto presidenziale che – non a caso – induce Napolitano a ricordare la lezione di Luigi Einaudi e riporta in qualche modo alla memoria il più immediato precedente in materia di conflitto di attribuzione: quello del 2005 tra il precedente capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, e l’allora Guardasigilli Roberto Castelli sulla grazia presidenziale nella scia del caso Sofri.

Ora il tema è più delicato. Per il Colle quell’intercettazione telefonica andava e va distrutta e il fatto che essa sia «indiretta» non cambia la sostanza delle cose. Napolitano ha riflettuto bene prima di sollevare lo scontro tra poteri. Si è consultato con numerosi costituzionalisti. Egli non poteva tacere anche perché in più circostanze – ad esempio all’Aquila il 21 giugno scorso – aveva espresso tutta la sua indignazione per «la campagna di insinuazioni e di sospetti contro il Quirinale» alimentata dalle intercettazioni delle telefonate tra il suo consigliere D’Ambrosio e Mancino; una campagna – aveva sottolineato – fondata sul nulla, su interpretazioni arbitrarie e «talvolta con versioni manipolate».

Aveva fatto divulgare il testo di una lettera riservata del segretario generale del Colle, Marra, al pg della Cassazione in cui riferiva delle lamentele di Mancino perché non c’era il necessario coordinamento nelle indagini siciliane. Sperava che il polverone si dissipasse. Ma nulla è servito e quando ha compreso che quelle intecettazioni – ancorché irrilevanti – potevano aprire un vulnus nei poteri presidenziali, si è consultato con il suo staff giuridico e ha deciso di passare all’offensiva. D’altra parte, il pensiero di Napolitano sulle intercettazioni non da oggi è molto chiaro e preciso. Nell’incontro con i giornalisti all’Aquila aveva ribadito l’urgenza di una legge per regolamentare la delicata materia da deliberare in Parlamento «sulla base di un’intesa la più larga possibile».

Quanto ai suoi contenuti Napolitano si è limitato a indicare l’esigenza di rispettare e di conciliare tre valori fondamentali: il diritto alla sicurezza dei cittadini che comporta anche l’uso delle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura, il rispetto della privacy e la libertà di stampa.

 

«Legami con i Casalesi»: arrestato titolare del gruppo caseario Mandara. Sequestrati beni per 100 milioni

Gli agenti della Dia e del Noe dei carabinieri stanno eseguendo provvedimenti del gip di Napoli emessi su richiesta della Dda nei confronti del gruppo caseario Mandara, noto marchio della mozzarella Dop. Il titolare, Giuseppe Mandara, è stato arrestato insieme ad alcuni collaboratori e il patrimonio, stimato in oltre 100 milioni di euro sequestrato. Le accuse sono associazione per delinquere di stampo camorristico e reati in tema di tutela della salute pubblica.

l sequestro di beni eseguito dagli agenti della Dia e dai carabinieri del Noe di Napoli riguardano l’intero patrimonio aziendale del gruppo caseario «Mandara». Secondo quanto rende noto la Direzione investigativa antimafia, gli esponenti di vertice del gruppo imprenditoriale sarebbero legati al clan dei Casalesi. I particolari della operazione anticamorra, denominata «Bufalo», saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa convocata per le 11 nella sede della Procura della Repubblica di Napoli.

Siria: attivisti,nuovi scontri a Damasco

(ANSA) – BEIRUT, 17 LUG – Scontri tra forze governative e ribelli si registrano anche oggi nel quartiere Midan di Damasco, ad alcuni chilometri dal cuore della capitale, secondo i Comitati locali di coordinamento dell’opposizione. La stessa fonte segnala bombardamenti su alcuni sobborghi, Barzeh, Qabun, Jobar e Qadam. I Comitati parlano di bombardamenti anche a Homs sui quartieri ribelli di Khaldieh e Jorat Shayah, e su Dayr az Zor. La fonte parla di 97 uccisi ieri, 30 nella provincia di Hama e 21 in quella di Homs.

viaSiria: attivisti,nuovi scontri a Damasco – Top News – ANSA.it.

Sei in chat? Facebook ti spia (per combattere il crimine)

Sarebbero stati gli stessi portavoce del Sito in Blue a confermare che le chat attive all’interno del social network di Mark Zuckerberg vengono costantemente monitorate alla ricerca di indizi che permettano di scovare eventuali cyber criminali pronti a colpire.

Ad occuparsi di questa funzione di controllo sarebbe un apposito algoritmo creato dagli sviluppatori di Facebook, infatti, passare al vaglio “manualmente” miliardi e miliardi di parole digitate durante le sezioni di chat sarebbe (non solo virtualmente) impossibile. Il cyber crimine non dovrebbe essere però l’unico obiettivo di questa attività “spionistica” il cui operato sarebbe stato rivelato soltanto di recente, l’algoritmo sarebbe stato infatti creato anche per rilevare termini riconducibili a pericoli per la pubblica sicurezza e in particolare per i minori.
Un algoritmo, per quanto preciso, non può dare l’assoluta sicurezza di non produrre “falsi positivi”, per cui ci si augura che nessun abituale frequentatore della chat di Facebook rischi conseguenze legali derivanti da affermazioni male interpretate durante i controlli.

NICOLE MINETTI NON SI E’ DIMESSA

MILANO – Nicole Minetti non si è dimessa. All’ufficio protocollo del Consiglio regionale della Lombardia non è arrivata nessuna comunicazione e dunque la consigliera, indagata per favoreggiamento dellaprostituzione insieme a Lele Mora ed Emilio Fede, resta in carica. Oggi quindi alla seduta del Consiglio dedicata all’Expo, se sarà presente, tutti gli occhi saranno puntati su di lei. Sembrava che le dimissioni fossero cosa fatta, tanto che il segretario del partito Angelino Alfano ha risposto senza esitazioni «sì» quando gli hanno domandato se oggi si sarebbe dovuta dimettere. Invece per ora nessun passo indietro. Anzi, la consigliera senbra avere altre preoccupazioni, come suggerirebbero le immagini che la ritraggono a Porto Cervo.

Ad ogni modo c’è chi in questo ritardo ci legge anche un indebolimento dell’autorità del segretario, un nuovo colpo dopo la decisione di Silvio Berlusconi di ricandidarsi. Roberto Formigoni per ora glissa. Ricorda solo che «le dimissioni sono un istituto personale». Insomma, la palla è in mano a Nicole Minetti. Si parla di una trattativa serrata per lasciare, qualcuno prevede fra qualche giorno, qualcuno ad ottobre per maturare il vitalizio. In realtà, secondo il regolamento del Consiglio, Minetti deve dare una comunicazione scritta all’ufficio di presidenza e alla giunta delle elezioni e poi le sue dimissioni devono essere votate nella prima seduta disponibile.

L’ex ballerina di Colorado non ha rilasciato dichiarazioni. Ma hanno parlato, abbondantemente, quelli che l’attaccano, con il pressing del Pdl che continua, e quelli che la difendono. Secondo Ignazio La Russa «sarebbe bello se non fosse la sola» a dimettersi. Secondo Daniela Santanchè, Minetti «in questi mesi ha dimostrato di non essere adatta alla politica». Più sfumato il commento dell’ex ministro Mariastella Gelmini, convinta che fra qualche anno si dovrà chiedere scusa alle ragazze che andavano alle feste di Arcore.

«La sua candidatura è stata un errore, soprattutto per lei – ha spiegato -. Credo che la Minetti avrebbe la possibilità di esprimere le proprie capacità in altre direzioni». L’ex ministro dell’Istruzione dice no al linciaggio e in tanti difendono l’igienista dentale più famosa d’Italia. Le è arrivata una lettera aperta dei blogger Pdl di Retrovia – sito nato dopo l’esperienza dei formattatori – che accusandola ironicamente di tutti i danni del partito in realtà puntano il dito su Berlusconi, sui vertici del partito e su «cuordileone Alfano».

Da radicali, Pd, Sel e Idv arrivano critiche al Pdl che ne fa un capro espiatorio, con richiesta di dimissioni di Formigoni e/o Berlusconi. In pratica tutti quelli che avevano criticato la sua candidatura nel listino bloccato due anni fa, adesso criticano e considerano ipocrita la richiesta di dimissioni. Resta da vedere se arriveranno

Merkel, il portavoce gela Berlusconi: «Con lui nessun contatto da mesi»

BERLINO – Silvio Berlusconi e Angela Merkel «non hanno più avuto contatti da quando non è più premier, quindi non posso parlare attualmente di un rapporto cordiale». Lo ha detto il portavoce delgoverno tedesco Steffen Seibert aggiungendo che quando hanno lavorato insieme c’è stata «una buona collaborazione italo-tedesca».

L’intervista. Il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert ha risposto alla domanda di un giornalista sulle affermazioni fatte dall’ex premier in un’intervista alla Bild. «Ho un cordialissimo rapporto con la signora Merkel. La stimo per la sua franchezza, la sua serietà, la sua competenza, la sua dedizione. E non dimentico che insieme a me ha visitato l’Abruzzo dopo il terremoto», ha detto Berlusconi al tabloid tedesco.

 

E’ morto Jon Lord dei Deep Purple L’alchimista “classico” dell’hard rock

Affetto da un tumore al pancreas, il musicista è spirato a Londra per embolia polmonare. Dietro di sé lascia una band leggendaria, una hit eterna come Smoke On The Water e l’unicità di un suono permeato di durezza e classicità
di PAOLO GALLORI

LONDRA – All’età di 71 anni è morto Jon Lord, co-fondatore e tastierista dei Deep Purple. La notizia è apparsa sul sito ufficiale del musicista, dove “con profonda tristezza” si annuncia che Jon Lord, colpito da embolia polmonare, è spirato alla London Clinic, circondato dall’amore della sua famiglia, dopo una lunga battaglia contro un tumore al pancreas.

L’ennesimo lutto di un 2012 terribile per la musica, che colpisce in particolare la grande comunità degli appassionati di hard rock ed heavy metal, milioni in tutto il mondo, per il quale Jon Lord resterà per sempre uno degli autori di Smoke On The Water, il brano più conosciuto dei Deep Purple, sul cui giro di accordi hanno mosso i primi passi tantissimi musicisti in erba. Ma se la firma di Lord campeggia su gran parte del repertorio della band, il suo contributo va ben oltre l’aspetto puramente compositivo.

A Lord si deve infatti la prima e più riuscita commistione tra hard rock e venature classiche, tra chitarre elettriche ruggenti, drumming pesante e coloriture d’organo hammond, di cui Jon era autentico maestro. Un lavoro sublimato nel celebre Concerto for Group & Orchestra presentato per la prima volta nel 1969 alla Royal Albert Hall di Londra, i Deep Purple sul palco assieme alla Royal Philharmonic Orchestra diretta dal maestro Malcolm Arnold. Esperienza ripetuta nel 1999, ancora nel celebre teatro londinese, tre anni prima che Jon Lord desse definitivamente l’addio ai Deep Purple, sfiancati dall’età e da innumerevoli cambi di formazione.

Nato nel 1941 a Leicester, figlio di musicisti, Jon Douglas Lord prese lezioni di pianoforte sin dalla tenera età e, forte di questo bagaglio, si trasferì a Londra nel 1960. In una Inghilterra sempre più affascinata dal blues e dal jazz, pronta a produrre una scena matura, da cui nel seguito del decennio sarebbero scaturiti i Rolling Stones come i Cream, i Led Zeppelin, sarebbe diventato qualcuno Jimi Hendrix e sarebbero passati tutti i grandi del blues revival, Jon Lord non faticò a ritagliarsi uno spazio in una lunga serie di band, accumulando esperienza e conoscenze. Finché, nel 1968, dall’incontro con il chitarrista Ritchie Blackmoore, non scaturì la scintilla creativa all’origine dei Deep Purple.

La prima formazione contava anche sul cantante Rod Evans, sul bassista Nick Simper e sul batterista Ian Paice. Shades Of Deep Purple l’album debutto di una line-up destinata a mutare nel suono, inizialmente orientato verso il pop, e nella personalità. Dopo il terzo, omonimo album, al posto di Simper e Evans arrivarono il cantante Ian Gillan e il bassista Roger Glover, a comporre la formazione dei Deep Purple più amata dai fan. Anche la più ambiziosa, dedita a canzoni dalla struttura complessa e connotata dalle influenze classiche di Lord.

Un suono che raggiunge l’apice con il gran lavoro di Jon Lord per il concerto con la Royal Philarmonic Orchestra. Impresa all’epoca poco apprezzata dalla critica, il che consegnò a Blackmoore la direzione artistica dei Deep Purple. La band si ritrovò così proiettata verso un guitar rock esaltato dalle incredibili altezze della voce di Ian Gillan, una formula destinata al grande successo commerciale, a cominciare dall’album Fireball del 1971.

I Deep Purple avrebbero dovuto registrarne il seguito al Casino di Montreux, in Svizzera, ma un incendio scoppiato nel locale durante un concerto di Frank Zappa sconvolse i suoi piani. In compenso, l’accaduto ispirò Smoke On The Water, la gemma più luminosa dell’album Machine Head, con cui la band entrò a tutti gli effetti nell’elite del rock, status consolidato con Who Do We Think We Are nel 1973.

Ma fu proprio a quel punto che nei Deep Purple iniziarono le divergenze di vedute che avrebbero portato a continue, quasi cicliche rivoluzioni d’organico, con la fuga di Gillan e Glover, rimpiazzati da David Coverdale e Glenn Hughes.

Pur costretto a piegarsi alla dittatura delle chitarre, Jon Lord riuscì comunque a marchiare il sound della band, rivelando alla crescente comunità rock uno stile destinato a rivalutazioni a posteriori e a influenzare altri grandi tastieristi, soprattutto nell’ambito del successivo prog-metal. Oltre a ispirare tante performance con orchestre classiche, quasi un must per ogni grande metal band.

Dal vivo, Jon Lord non nascose mai le sue radici musicali, inserendo in scaletta lunghe digressioni ispirate a Beethoven e Bach. Ma resteranno negli annali soprattutto le sue partiture d’organo Hammond, “esplose” attraverso un classico amplificatore Marshall per chitarra. L’ingrediente segreto dietro l’unicità del suono rock dei Deep Purple, Jon Lord il suo alchimista.

 

«Conflitto fra poteri dello Stato» Napolitano contro la procura di Palermo

Il presidente della Repubblica firma il decreto per la mancata distruzione delle intercettazioni delle telefonate con Mancino

Giorgio Napolitano contro i giudici di Palermo. Il presidente della Repubblica ha infatti firmato il decreto con cui affida all’Avvocatura dello Stato l’incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Il Quirinale, in altri termini, va all’attacco della procura di Palermo, in relazione alla vicenda delle telefonate intercettate tra il consigliere del presidente per gli Affari giuridici Loris D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino a proposito della presunta trattativa tra Stato e mafia negli anni 90. Durante l’attività d’intercettazione ci sarebbero state anche un paio di telefonate fra Mancino e Napolitano, telefonate che avrebbero dovuto essere distrutte, provvedimento che il procuratore del capoluogo siciliano Francesco Messineo non ha ancora disposto. A giudicare sul conflitto sarà la Corte costituzionale.
IL COMUNICATO – A spiegare le ragioni della decisione di Napolitano è lo stesso comunicato stampa in cui il Quirinale ne dà notizia: «Alla determinazione di sollevare il confitto, il presidente Napolitano è pervenuto ritenendo dovere del Presidente della Repubblica, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce».

IL DECRETO – Il dispositivo con cui Napolitano dà mandato all’avvocatura dello Stato di sollevare il conflitto di attribuzione è stato pubblicato sul sito del Quirinale. È evidente che l’iniziativa del Colle punta ad evitare che le intercettazioni che coinvolgono il capo dello Stato, ancorché ritenute non rilevanti per i pm, finiscano agli atti del procedimento a disposizione delle parti. «La Procura, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti». Il che sarebbe, a giudizio del Colle, una violazione delle prerogative presidenziali: «Le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione».

M. Br.

Foto Il cinema più piccolo del mondo

Il cinema più piccolo del mondo ha solo due posti, un’allure molto vintage e può correre a 200 all’ora. Il suo schermo è incastonato nell’abitacolo di una fiammante Alfa Romeo berlina 2000 verde pino del 1974, di quelle che sfrecciavano negli inseguimenti dei poliziotteschi anni Settanta. È la ‘Cortomobile’ che approda a Milano ed è stata inventata dal fiorentino Francesco Azzini, convinto che “se la gente non va più al cinema, sarà il cinema ad andare dalla gente”. Un’idea un po’ folle che dal 2006 ha già accolto sui suoi sedili 9.348 spettatori e macinato 120mila chilometri. Una maschera all’esterno offre agli spettatori un menù da cui scegliere i film, esclusivamente cortometraggi di giovani autori italiani degli ultimi vent’anni (in elenco ce ne sono 70). Poi apre la portiera, fa salire il pubblico — due persone alla volta — sul sedile posteriore di pelle e chiude le tendine bordeaux. Dal proiettore montato sul bagagliaio le immagini colpiscono lo schermo sul cruscotto, che altro non è se non il retro della locandina di un film con Belmondo. Una scatola magica piena di memorabilia — una sirena blu della polizia, locandine di vecchi polizieschi all’italiana, la sagoma di Kenneth Branagh nelle vesti di Amleto — per un miniviaggio nella fabbrica dei sogni (Simona Spaventa)

Moodys taglia rating a banche e società italiane

MILANO Reuters – Moodys ha tagliato il rating di una serie di banche e società italiane per allineare il merito di credito a quello del Paese dopo il downgrade a Baa2 della scorsa settimana.Il rating di Intesa SanPaolo e Unicredit è stato abbassato a Baa2 da A3 con outlook negativo.Lintervento di Moodys include il calo di un gradino per sette instituzioni finanziarie e di due per altre sei.Anche Cassa Depositi e Prestiti e Ismea sono state abbassate per il loro elevato grado di esposizione sul mercato interno.Moodys ha tagliato anche il rating di alcune importanti utility.Terna, è stata ridotta a Baa1, e anche Atlantia, Snam e Acea hanno visto ridursi i loro rating.Poste Italiane è stato tagliato a Baa2, mentre Eni ad A3 da A2.Tra gli altri adeguamenti al ribasso, Moodys ha tagliato 23 enti locali inclusa la Lombardia, Lazio come anche le città di Milano e Napoli. Sul sito http://www.reuters.it altre notizie Reuters in italiano Le top news anche su http://www.twitter.com/reuters_italia

viaMoodys taglia rating a banche e società italiane | Business | Reuters.

Primarie e matrimoni gay, Pd diviso. La sfida dei ribelli a Bersani: “Voto”

La Bindi nel mirino dell’area laica
«Pronti a stracciare la tessera»

ROMA
Finale senza voto, e con bagarre, all’Assemblea nazionale del partito su nozze gay e primarie. Dopo la conclusione del segretario Pierluigi Bersani e quando si dovevano votare alcuni ordini del giorno, è scoppiato lo scontro sul documento elaborato dalla Commissione Diritti che prevede, tra l’altro, il riconoscimento giuridico delle unioni, in linea con la sentenza della Corte Costituzionale in materia, ma non i matrimoni gay, come vuole invece l’area più laica. Tensione anche sulla questione delle primarie con l’ala vicina a Pippo Civati che ha chiesto con un odg una data del voto. È toccato a Bersani intervenire per sedare gli animi ricordando che «il Paese non è fatto delle beghe nostre».

E che gli animi fossero destinati a surriscaldarsi si è capito quando la relazione del segretario è stata votata ma in cinque dell’ala di Civati hanno deciso di astenersi. Poco dopo si è passati alle votazioni dei documenti e la presidenza ha comunicato che si sarebbe votato solo sul documento elaborato dalla Commissione Diritti senza che ci fosse spazio per altri contributi, come appunto quello sulle nozze gay, dei quali si discuterà, invece, alla prima direzione utile dopo le ferie. A quel punto sono iniziate le proteste. Ignazio Marino, Paola Concia, Barbara Pollastrini, si fanno sentire: avevano sottoscritto un documento con il quale volevano integrare il testo uscito dalla Commissione prevedendo i matrimoni gay. Un documento ritenuto, però, “precluso” dalla presidenza. Il testo `ufficiale´ della Commissione è passato quindi con i 38 voti contrari dell’ala più laica del partito.

Scattano le contestazioni. «Siete più indietro di Fini, il vostro è un documento arcaico», è insorto il delegato pugliese Enrico Fusco che è salito sul palco per spiegare le ragioni del documento integrativo e di fronte al rifiuto di metterlo in votazione ha restituito la tessera a Bersani. Insieme a lui anche altri due delegati hanno restituito la tessera e la mancata votazione è stata sottolineata dai `buu´ della platea e da urla «vergogna, vergogna».

La situazione si è ancora più surriscaldata quando non sono stati messi in votazione nemmeno gli ordini del giorno di Civati, Gozzi e Vassallo sulle primarie perché «preclusi» dall’intervento di Bersani che aveva annunciato primarie entro la fine del 2013. A quel punto dalla platea sono giunte le urla «voto, voto». E in diversi hanno chiesto che il segretario intervenisse. «Questo è un partito precluso…», ha ironizzato Civati.

Per placare gli animi è intervenuto finalmente Pierluigi Bersani. «Nel momento in cui per la prima volta il Pd assume un impegno alla regolamentazione giuridica delle unioni gay – ha detto parlando delle prima questione – vedo qualcuno che dice `vado via dal Pd´: ma io dico attenzione, il sistema dei diritti è un meccanismo in evoluzione e può perfino fermarsi se non si tiene conto dei passi. Per quanto riguarda le primarie, ho detto che saranno aperte, non mettiamo paletti, ma nel momento in cui sono primarie che dobbiamo fare con gli altri allora è chiaro che ne dobbiamo discutere con loro». Per questo Bersani ha invitato a votare contro il punto dell’ordine del giorno che chiedeva una data. E soprattutto ha strigliato tutti perché- ha sottolineato – «il Paese non è fatto delle beghe nostre». Il segretario ha quindi ribadito la necessità, in vista del 2013, di non dare l’immagine di un partito litigioso che non decide. E ha così chiuso le polemiche.

Berlusconi attacca la Merkel e annuncia il cambio di nome “Addio Pdl, torna Forza Italia”

L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul sito della Bild
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Intervista alla Bild: «Ho visto arrivare per primo la crisi. Voglio una  Germania che sia più europea, non il contrario»

ALESSANDRO ALVIANI
BERLINO
Silvio Berlusconi torna a dare un’intervista a un giornale internazionale. E per farlo sceglie il quotidiano più letto d’Europa, la Bild, la corazzata del gruppo Springer che ha un ruolo chiave per influenzare il dibattito pubblico in Germania. Nel testo, pubblicato oggi in apertura della sezione politica del giornale e intitolato «Non vogliamo un’Europa più tedesca», l’ex premier annuncia che tornerà presto al nome «Forza Italia», esclude un addio all’euro, si definisce «il primo leader occidentale che ha riconosciuto il pericolo della crisi finanziaria» e attacca l’«eccessiva» politica di risparmi seguita da Angela Merkel – anche se giura di avere con lei un rapporto «molto cordiale». «Mi chiedono spesso e molto insistentemente» di ricandidarmi a presidente del Consiglio, esordisce Berlusconi. «Posso solo dire che non pianterei mai in asso il mio Popolo della Libertà. Tra l’altro torneremo presto al vecchio nome del partito: Forza Italia».

Berlusconi nega di non poter vivere senza il potere politico: «Non ho né un trauma, né ho ceduto il potere, in quanto il premier in Italia non lo possiede affatto: in base alla Costituzione non può neanche sostituire un ministro. Il potere ce l’avevo prima del 1994, quando facevo solo televisione», ricorda. Al giornalista Albert Link, che gli chiede cosa Mario Monti sia riuscito a fare meglio di lui, l’ex presidente del Consiglio risponde che la forza del suo successore sta nel fatto che «può contare sull’appoggio più ampio che un premier abbia mai avuto. Questo è il motivo che mi ha spinto a tornare: volevo rendere possibili riforme, anche di tipo costituzionale». Io, continua Berlusconi, «sono stato il primo leader occidentale a riconoscere il pericolo della crisi finanziaria e ad avviare riforme». Se l’Italia riporta sotto controllo i suoi conti pubblici «lo si deve in gran parte al mio governo», rivendica.

Rispondendo a una domanda sulle «gelide» reazioni tra Italia e Germania Berlusconi nega poi che Merkel venga percepita in Italia solo negativamente, come un leader controverso. «Critichiamo solo una politica di austerity eccessivamente rigida, che frena la crescita. Desideriamo una Germania più europea e non un’Europa più tedesca», nota. «Desideriamo da Berlino una politica europea lungimirante, solidale e aperta». Al momento, si legge su un passaggio anticipato ma non pubblicato sull’edizione cartacea, si sente «un certo predominio tedesco in Europa».

Berlusconi nega poi che il suo rapporto con Frau Merkel sia ormai compromesso. Anzi, quello con la cancelliera è un rapporto «molto cordiale, apprezzo la sua apertura, la sua serietà, la sua competenza e il suo impegno». Quanto alle sue ultime uscite sull’euro, l’ex premier ricorda che con l’introduzione della moneta unica il bilancio economico della Germania è migliorato, quello dell’Italia è peggiorato. «Ma ciononostante un ritorno alle valute nazionali mi sembra improbabile. Ciò significherebbe l’insuccesso del progetto storico di un’Europa unita, cosa che nessuno vuole».

In un’anticipazione di una parte dell’intervista non pubblicata sull’edizione nazionale cartacea ma solo sulla versione online della Bild, Berlusconi si sofferma anche sul caso Ruby e definisce il processo in corso «una campagna di diffamazione della nostra giustizia in parte di sinistra». Le ragazze sono state messe in relazione alla prostituzione, mentre hanno soltanto ballato «come in qualsiasi altra discoteca del mondo». Tutte le accuse si risolveranno nel nulla, come anche negli altri processi condotti contro di me: «Sono stati oltre 50 e ho speso oltre 428 milioni di euro in avvocati e assistenza legale. Non credo che nessun altro abbia resistito a tanti attacchi oltre a me».

ANGELA MERKEL: NIENTE SE NON TI CONTROLLO IO

Berlino (Germania), 15 lug. (LaPresse) – Tutti i tentativi di fornire solidarietà economica senza controlli “con me o con la Germania non avranno alcuna possibilità”. Lo ha dichiarato la cancelliera tedesca Angela Merkel, parlando della crisi europea e degli aiuti economici durante una intervista rilasciata al programma Sommerinterview dell’emittente televisiva tedesca ZDF. “La democrazia si basa sul fatto che gli accordi valgono non solo nel bene, ma anche in tempi difficili”, ha detto inoltre la cancelliera.
Nel pomeriggio di oggi, intanto, il primo ministro lussemburghese e presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato di ritenere che i leader dei 17 Paesi dell’eurozona non ritengono l’Italia avrà bisogno di aiuti economici europei. Lo ha dichiarato, secondo quanto riportato dal sito di Bloomberg, in una intervista al giornale tedesco Der Spiegel. Se l’Italia chiedesse aiuti, continua Juncker, dovrebbe però sottoporsi alle esistenti procedure di supervisione europee.