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OMOFOBIA e IPOCRISIA

OMOFOBIA e IPOCRISIA  di Salvatore Maresca Serra

<<Non avrai altri jeans all’infuori di me>> era lo slogan di Jesus che tanto fece parlare e generò una reprimenda cattolica appoggiata da magistratura, polizia, quindi Stato perbenista-moralista  a partire dalle pagine dell’Osservatore Romano, nei “lontani anni settanta”. Il 17 maggio 1973, PP Pasolini scrisse sul Corriere della Sera la sua puntuale analisi linguistica del fenomeno, dove configurò uno scenario – a partire dal <<non avrai altri>> – che vedeva lo sgretolarsi del potere della Chiesa prossimo, futuribile sul breve periodo e ineluttabile. Bastavano un jeans e uno slogan, dunque – dopo millenari sviste, corruzioni e falsificazioni –, a spogliare la Chiesa del suo potere mentre rivestiva di azzurro divinizzato gambe cosce e natiche degli italiani inconsapevoli dell’orrenda tragedia in agguato? O piuttosto non era quello slogan l’acme del declino del vaticano solo perché nasceva nel grembo della società borghese, che la Chiesa aveva accolto snaturando se stessa? Pasolini indicava un percorso di valori (ben precisi) da utilizzare: serviva chiedersi – a partire dal Concordato negli anni trenta – quanto il neocapitalismo borghese potesse determinare il declino del papa e compagni, dopo ch’essi avevano accettato il fascismo, poi la repubblica, quindi la società dei consumi e del nuovo capitale liberale. Domande logiche, lecite e linguistiche. Quindi: se lo spirito reazionario degli anni ’70 che strappava i manifesti di Jesus avesse avuto vita breve, come fu – profeticamente – negli anni a seguire. Quello slogan pubblicitario – antesignano del branding – era come un retrovirus Hiv: solo questione di tempo. Poi avrebbe infettato tutto e tutti. Uno tra i Dieci Comandamenti era stato nonsolo vilipeso, nonsolo banalizzato oscenamente per trarre fatturati e colpire l’immaginario innocentemente ludico dei giovani borghesi, e nonsolo aveva eternizzato per un istante la psicologia applicata della comunicazione pubblicitaria, ma era stato usato quale strumento di morte perché già morto. E Jesus stesso sanciva questa morte della religione cattolica e dei suoi comandamenti dopo essere già stato – poco prima – Cristo Super Star, come fosse una stella del firmamento pop. Evidentemente, il vaticano assorbiva coscientizzandola troppo tardi la morte (quale spinta vitalistica) di una collettivizzazione sistemica di una antica-postmoderna fede-antidefe: l’idolatria del Capitale. È anche evidente che le macroscopie della materializzazione e della reificazione – dico io – venivano già da tempo immemorabile precipuamente dalla vendita delle indulgenze, che portarono Lutero ad affiggere a Wittemberg le sue 95 tesi di protesta contro Leone X. Mercoledì 31 ottobre 1517. La riforma innescata dal monaco agostiniano, in Italia fu altrettanto presente come negli altri stati europei, ma qui ebbe particolari caratteristiche. Innanzitutto si affermò nelle classi colte, imbevute dello spirito umanistico e laico del Rinascimento, che vedevano nella riforma, soprattutto legata allo Zwingli e a Calvino, un’affermazione della classe borghese rispetto al tradizionalismo della chiesa romana. Il movimento prese piede anche tra il clero sia con posizioni estremiste sia con posizioni moderate. Probabilmente, Pasolini – nell’articolo del Corriere – non volle approfondire troppo questo aspetto, e parlò come se la borghesia non avesse avuto un suo iter storico nei secoli addietro. Per ciò che riguarda Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de’ Medici, di lui gli avversari raccontano che quando divenne papa, a soli trentasette anni, l’11 marzo 1513, abbia detto a suo cugino Giulio: «Poiché Dio ci ha dato il Papato, godiamocelo». Si racconta viaggiasse attraverso Roma alla testa di una stravagante parata, in cui sarebbero apparsi pantere, giullari ed un elefante bianco. Avrebbe fatto servire cene con sessantacinque portate, nelle quali dei ragazzini saltavano fuori dai budini. Alcuni storici sostengono l’omosessualità di Leone X. Guicciardini recita nella sua Storia d’Italia a proposito di Leone X da poco morto: credettesi per molti, nel primo tempo del pontificato, che e’ fusse castissimo; ma si scoperse poi dedito eccessivamente, e ogni dì più senza vergogna, in quegli piaceri che con onestà non si possono nominare – sottintendendo, secondo molti, le pratiche omosessuali. Certo è che era una voce molto diffusa a Roma, come dimostrano molte pasquinate dell’epoca. Una di queste lo definiva “fiorentin, baro, cieco e paticone”, dove paticone indica l’omosessuale passivo. Più o meno tutti conosciamo l’orientamento sessuale dei papi e dei preti, e ciò si contrappone oggi alla decodifica che s’impone di un Parlamento che boccia – tacciandola d’incostituzionalità – la legge sull’omofobia. Già caldeggiata anche dalla Corte Costituzionale, in un’Italia che aggredisce gay, lesbiche e transessuali, dominata così com’è da una destra fascistoide, “retriva” (definisce Leonardo Coen su Facebook) e “da cui non ci può aspettare altro, grazie ai babbei che l’hanno votata”. Nella sostanza, il Parlamento italiano dice che è costituzionale ghettizzare i “diversi” e – simultaneamente – è incostituzionale difenderne i diritti: 100 e più omosessuali (dicono le varie associazioni GLBT tra cui l’ArciGay) parlamentari omofobi (che quindi sono terrorizzati da se stessi) si oppongono ad una legge che equipari i diritti di tutti, senza che gli orientamenti sessuali possano farli discriminare. Visto che finanche papi e preti – storicamente – non hanno incontrato ostacoli e discriminazioni per accedere ai loro alti incarichi nella Chiesa e nella società (anche)  borghese. Vien fatto di domandarsi cosa direbbe oggi PP Pasolini di questa Italia auto-omofoba, xenofoba e celodurista. Un Pasolini che ha pagato con una morte assurda tutto ciò ch’egli è stato, anche – e soprattutto – la sua omosessualità. Destabilizzante, irritante, sconosciuta e imbarazzante per molti, tra cui i suoi assassini. Di conseguenza, visti i fatti di ieri, viene anche da pensare che nel lontano 1973 Pasolini analizzasse il tutto del declino dell’ecclesia da una visione idealistica, profetica ma solo in parte, e comunque una parte troppo sottile e intellettuale per essere profetica del tutto: la Chiesa è presente nella discriminazione degli omosessuali anche oggi. Il potere che Pasolini vedeva in declino è inaffondabile per il patto scellerato tra Stato, Chiesa e politica. Questa è la semplice, banale, goffa e sciocca realtà del Parlamento: non perdere i voti dell’area cattolica manipolata costantemente e inelluttabilmente dalla CEI. Pax e Dico docet. Se Jesus scandiva <<non avrai altri jeans all’infuori di me>>, oggi sembra ascoltare a chiare lettere altri che dicono: <<non avrai altri omofobi all’infuori di noi>>. I rapporti sentimentali, affettivi, familiari sono leciti – per questi omofobi di Stato – solo a patto che a provarli siano due esseri dotati di vagina e membro: una complementarietà assoluta e insostituibile. Loro ne fanno solo una questione di organi sessuali riproduttivi. Funzionali alla sussistenza del sistema politico e religioso, là dove questi due concetti non trovano soluzione di continuità in questa Italia del cazzo. O in questa Italia dell’omosessualità sommersa e quindi laida, atrocemente deforme nella sua oscenità costituzionale, genetica, sporca e sordida: niente spazio dal parlamento e dai pulpiti per la bellezza della verità gridata ai quattro venti. Niente spazio all’orgoglio dell’essere ciò che naturalmnte si è. Niente essere, solo nascondere per godere nel segreto buco del pensiero imploso: il loro “Buco Nero” che tutto risucchia nell’ignominioso atto dell’esistere tra i “normali”, e dove la norma è la pluralità d’ogni cosa e fenomeno della Natura madre che ignorano. È più che mai necessario scandalizzarsi di ciò che ha dato scandalo da sempre: l’ipocrisia. O l’hupokrisis, come affermava Jesus tra i farisei e i sadducei, ma il Cristo quello vero. ὑπόκρισις.

(Per la cronaca, gli slogan “Non avrai altro jeans all’infuori di me” e “Chi mi ama mi segua” furono creati non dal dio mosaico e dal Cristo, ma da Oliviero Toscani e Emanuele Pirella).

Salvatore Maresca Serra