I PADRETERNUCCI – Salvatore Maresca Serra

E’ buona norma igienica – nonsolo in periodi di epidemie influenzali o miasmi “politici” – tenersi a distanza di sicurezza da taluni, in particolare, che stanziano – come acari depositati indefessamente e infestantemente – sulla moquette degli studi televisivi, nel costante calpestio delle suole (a Roma diciamo “sole”), o nelle rubriche dei giornali (leggi “organi di sputtanamento politico”) che nessuno legge mai se non qualche sfigato masochista quotidianista (la maledizione del quotidiano saccente), tra le puntate radiofoniche redazionali (dove qualche editore – si fa per dire – compra o detiene spazi promozionali mascherati da interviste di ambizione culturale, nell’amena speranza di piazzare qualche copia in più dell’ultima fatica letteraria stampata, immensamente faticosa solo per chi decidesse di leggerla davvero), oppure incontrandoli in qualsivoglia topos o “postribolo” di prima, seconda o terza serata, in rete, o in qualche bar dov’è meglio non consumare.

Perchè e chi sono quelli da evitare?

Partiamo da questo: se ne incontrano d’ogni tipo, livello (perchè sono svariati e quantificabili), e traviazione. Per esempio, la traviazione del vecchio e caro “disturbo della personalità”, a cui eravamo abituati con un certo pittoresco affetto, quando si proclamavano Napoleoni o Gesùcristi: oggi le identità millantate e le schizzofrenie – come tutto, d’altronde – sono cambiate (in apparenza).

Ciò che persiste immutata, invece, è la sindrome dei “padreternucci”. Di cui sono affetti. I sintomi? Si manifestano repentinamente: uno o due libricini dati alle stampe, due o tre ospitate in tv, una recensione pilotata, un ufficio stampa che si scapicolla per inventarsi una “sostanza” che non c’è…Insomma, basta questo. Se poi ti becchi anche un premio, allora non saluti più neanche tua madre (aspetti che sia lei a farlo)… Le comunità per le tossicodipendenze si guardano bene dall’accoglierli essendo esse stesse – spesso e volentieri – fondate e gestite da omologhi patetici patologici figli di puttana. A ognuno il suo. L’importante è coglierne il dato settico comune: la coprofagìa. Affatto, amano, nel loro percorso, leccare alla fonte l’escremento. Far di necessità “virtù”. E’ l’unico motore di cui dispongono, e anche l’unico propellente che li sposta e li muove verso le loro mete. Ma qual’è la meta di un acaro che sogna d’essere un padreterno? Partire dalla merda per raggiungere il cielo (del successo), suppongo. E, supponendo, immagino che sia un po’ come quella supposta che sognò di diventare missile. Crisi d’identità estetica. E quindi di destin-a-zione.

Parlare troppo da vicino con questi microbi espone al rischio di assorbire per via aerea la summa delle scorie di tutti i culi che hanno leccato.

O non li avremmo mai visti apparire con le loro testoline da circostanza: faccette tutte uguali e spiritate; voci stentoree che s’imitano a vicenda; posture ad hoc apprese sul cesso la mattina dai manualetti del linguaggio del corpo; abbigliamento distintivo dalla massa (piccolissimi particolari trasgressivi che aspirano a generare mode negli insicuri dipendenti da modelli a buon mercato).

Ce n’è per tutti i gusti. Ma la costante è sempre una e asfissiantemente banale: distruggere (o tentare di farlo) quelli che li hanno preceduti nel cammino onirico della supposta. Sono strateghi da strapazzo; cercano affannosamente i contraddittori per tentare di far emergere quell’improbabile residuo d’attenzione che l’italiano medio – disperato dalla cassa integrazione o dalle rate morose del mutuo – espelle tra uno sbadiglio e un altrettanto teratogeno tentativo d’evasione, mostruoso almeno quanto lo stesso riflesso che ne scorge nel video, quando si concede un’immersione in apnea nella spazzatura televisiva. L’attenzione – si sa – va costantemente espulsa in quest’Italia preidrocefala (manca pochissimo) e postintellettualoide. E’ un corpo estraneo. Una zavorra. Un problema da lettino dello psicoanalista. E poi, stare attenti a chi e perchè!

Nonostante ciò, il sistema immunitario stanco e provato che giace stravaccato e molle sulla poltrona davanti allo zapping – tra un consiglio e l’altro che faremmo bene a riciclare come spettacolo (almeno è innocuo perchè dichiaratamente commerciale) – ogni tanto apre una qualche falla e diventa permeabile. Inizia la cultura (si legga “Televendita”).

Ecco che l’acaro si cimenta a insinuarsi, si mette in comunicazione con quelle onde cerebrali ormai acritiche per stato crepuscolare, e – come fosse per esse  l’inizio di un normale low profile dell’ennesimo incubetto da stress della giornata -, forte del suo sterco che lo ha sponsorizzato, l’acaro ce la mette tutta e materializza il suo delirio di onnipotenza. Tutto il suo non essere prende a tentare d’essere. Una fatica dimesionale immane, impossibile, che però gli riesce facile (è noto che i visionari non accusano stanchezza né dubbi). L’acaro si muta in mammifero roditore. Rosicchia ogni secondo in più che può ingurgitare al conduttore che lo argina grottescamente (bestemmiando in sé). Affastella contrazioni autistiche delle parole per disperatamente dilatare il tempo che l’ultimo sfintere leccato gli ha concesso, tanto nessuno farà distinzione alcuna in ciò che vaneggia. Urla. Inveisce. Sgrana controllatamente gli occhi per tentare un’ipnosi subliminale. Sviscera tutte le strategie lungamente studiate per compiere il volo mediatico verso le menti aldilà delle telecamere, menti idiotamente visualizzate come bersagli al tiro a segno del luna park sotto casa. Niente elefante peluche o pesce rosso, solo notorietà, notorietà, notorietà, visibilità, visibilità, visibil…à, à , à! Se fai centro, qualche disperato assonnato ricorderà per qualche ora la tua faccetta, i tuoi calzettoni, la tua acconciatura, e magari l’ultimo libercolo che hai travagliatamente partorito e che descrivi come l’ultimo (ma il primo) dei capolavori letterari.

Questo è un tempo in cui dal video sparano di tutto.

Se prima era “Non è mai troppo tardi”, adesso è “Forse facciamo ancora a tempo”…

E, come Sigmund Freud aveva preconizzato, siamo in quell’immane mercato dove, alla fine, ognuno va a vendere se stesso.

Forse siamo all’Apocalisse: ognuno può comprare e vendere solo se ha quel segno sulla fronte (sarà mica 666…meglio sono sono sono).

Reificazione dell’ego? Reificazione dell’ego.

Una novità? No: una cosa già stravecchia (senza botti di rovere, solo muffa) come tutto. La Storia non si scrive più: la si espelle giorno per giorno, cialtrone per cialtrone.

Per questo – ogni volta che qualcuno ci riprova – aumenta il volume di merda che circola nell’aria. Evidentemente, qualche fesso che compra ci sarà sempre.

Come nel dipinto di Hieronymus Bosh, l’ano dei potenti si dilata e sfinterizza una marea di stronzi. Ognuno di essi è un padreternuccio: ovvero, un eternuccio padre. Perchè? Perchè a cosaltro di più alto si potrebbe mai aspirare nel delirio d’onnipotenza che produrre emuli-figli e figliucci? E non sono forse tali quelli che vediamo autoreferenziarsi laddove non c’è alcuna ragione di mettersi in cattedra? Figliucci elettivi di vergogne di vergogne. In realtà dovremmo non vederli perchè sono dietro la lavagna, castigati dal loro stesso ridicolo status quo.

Pupazzi di un regime politico che – da sempre – piazza in video e sui giornali  una selezione autonoma (figurarsi) di facce nuove, culi e tette nuove, deliri nuovi, talenti nuovi, parolai nuovi…

Sembra tutto nuovo. In realtà l’unica cosa che si rinnova purtroppo ad ogni ora che passa è l’indifferenza che produce il degrado in cui versiamo. Più aumenta, più emergono i pupazzi. Inespressivi, omologati, illusi, volgari, incapaci, deficienti, grotteschi e maleodoranti padreternucci di varie “discipline” che occupano clandestinamente per il solo merito indiscusso di avere lingue d’acciaio. D’altronde, i potenti hanno culi forse flaccidi, ma inscalfibili e insaziabili. E tutti lo sanno. Tranne i padreternucci. A questi, niente eternità, solo eternuccità.

Salvatore Maresca Serra, Roma 1 Febbraio 2011

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